Real Madrid musulmano


Autunno 2014

Nella sua compulsione affaristica Florentino Perez non ha esitato, come è noto, ad abiurare - lui, buon cristiano di tradizione franchista - la croce identitaria dall’arma araldica del Real Madrid sulle carte di credito emesse dalla National Bank di Abu Dhabi in collaborazione con la Casa Blanca [vedi]. Non per 30 monete, ma per 90 millioni di euro. Decisione discutibile e, secondo non pochi, riprovevole. 

Ma c’è di più.

Come osserva Stefano Olivari, “imprenditori, fondi di investimento e sponsor di paesi musulmani e autoritari si stanno comprando direttamente o indirettamente il meglio del calcio mondiale. Dal Manchester City al Milan, dal PSG al Barcellona, dall’Arsenal all’Inter, per arrivare al Real Madrid, questa tendenza è evidente così come è evidente la sua ragione primaria: non vendere qualche carta di credito o qualche maglietta in più, e nemmeno guadagnarci ma piazzare nell’immaginario dell’occidentale medio un’immagine rassicurante del mondo islamico e al tempo avere un trofeo da esibire in patria, depurato da simboli che possano far venire in mente altre culture”.

Condivisibile la chiosa: “Grande alleato di questa realtà, che sarebbe stupido definire complotto (in questo caso niente avviene in segreto, anzi la pubblicità è parte integrante dell’operazione), è il nostro politicamente corretto che unito ai debiti creati da imprenditori europei e cristiani ci ha trasformati in accattoni più o meno di lusso”. In attesa del cambio di anagrafe di MR7: Musulmano Rolando [vedi].

Applausi


Roma, 10 ottobre 2014

"Dobbiamo considerare che una parte dell’opinione pubblica ritiene che certi oneri della collettività nei confronti delle partite di calcio non siano più accettabili. Il calcio dice che dà più di quello che costa, ma è in buona compagnia, perché in Italia c’è un’alta percentuale di cittadini che pagano di tasse più di quanto ricevono in servizi. Quel provvedimento riguarda tutte le manifestazioni sportive ma, alle partite di calcio, le forze dell’ordine sono in assetto da guerra, mentre per Italia-Inghilterra di rugby allo stadio Olimpico c’erano 82.000 spettatori e neanche un poliziotto. Anche ai Mondiali di pallavolo non solo non c’è un poliziotto, ma neanche un vigile. Quindi il problema è dello Stato o del calcio?".

Senza tanti giri di parole, il presidente del Coni, Giovanni Malagò ha così commentato la richiesta al Senato della Repubblica avanzata dalla Lega di Serie A di sopprimere gli articoli del Decreto stadi che prevedono il pagamento da parte dei club di parte delle spese degli straordinari delle forze dell’ordine, ricordando che “il sistema del calcio italiano contribuisce già alla fiscalità generale del Paese, secondo gli ultimi dati disponibili riferiti all’anno d’imposta 2011, per un ammontare di un miliardo e 34 milioni di euro di imposte dirette e indirette, 741 dei quali attribuibili ai soli club di Serie A”.

Flagranza di reato


Napoli, 22 settembre 2014

Dopo soli 142 giorni la Digos ha finalmente arrestato Genny ‘a carogna, alias Gennaro de Tommaso, eroe eponimo dell’8 settembre del Calcio italiano [vedi]. Le motivazioni giuridiche? «Resistenza a pubblico ufficiale», violazione della legge sullo «scavalcamento e invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive», nonché violazione delle norme su «striscioni o cartelli incitanti la violenza o recanti ingiurie o minacce» in relazione alla maglietta con la scritta «Speziale libero», che il suddetto esibiva allo stadio Olimpico di Roma la sera della finale di Coppa Italia del 3 maggio scorso [vedi].

Immaginiamo la complessità delle indagini che hanno portato a questo arresto - nel mazzo pare ci siano altri quattro “facinorosi” per dirla col Presidente della Repubblica. Indagini, verifiche, confronti di prove: il tutto per evitare di sbagliare persona e accusare ingiustamente un innocente. E’ vero, nel mezzo ci sono state le vacanze, l’intorpidimento agostano del paese, la minaccia del blocco degli stipendi anche alle forze dell’ordine, etc. Ma non possiamo che congratularci per i tempi rapidissimi dell’azione giudiziaria.

Che la questura di Roma e i responsabili dell’ordine pubblico non fossero stati irreprensibili nei fatti del 3 maggio ormai lo sanno anche i sassi [vedi]. Lo hanno confermato gli show degli ultras del 17 settembre scorso in occasione della prima di Champions tra Roma e CSKA [vedi]. I tempi impiegati per mettere le manette a Genny ‘a carogna confermano l’inadeguatezza delle “autorità preposte” e l’assenza di ogni responsabilità istituzionale.

Ma “Nun c’è problema”: Genny continuerà a dettare a Beretta, Galliani e Lotitus gli orari degli anticipi e posticipi della Serie A anche dalla sua cella. In fondo, basta un cellulare.

Attività parlamentari


Montecitorio, Roma, 6 settembre 2014

Il deputato del Pd, Marco Miccoli [versione istituzionale - versione ultrà - versione open], annuncia:«Presenterò un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Economia ed un esposto alla Consob dopo i fatti che si sono registrati ieri sera durante la partita Juventus Roma. Ricordo che Roma e Juventus sono società quotate in borsa, e quindi gli incredibili errori arbitrali (oltre a falsare il campionato e minare la credibilità del Paese) incidono anche sugli andamenti della quotazioni borsistiche». Conclude Miccoli «Con i miei atti parlamentari ispettivi, sollecito il Ministro Padoan e la Consob a chiarire se ci possono essere stati atti che ledono le normative vigenti, svantaggiando e penalizzando gli incolpevoli azionisti» [voilà].

Non vivessimo gli anni tristi che viviamo, verrebbe da ridere …

Il raggio azzurro


4 settembre 2014, Stadio San Nicola, Bari

In una delle più terribili estati della storia del calcio italiano finalmente un raggio azzurro che squarcia l’oscurità. Accogliamolo per quello che vale: con speranza ma senza illusioni. 

Una bella Italia contro l’Olanda nel fatiscente stadio disegnato da Renzo Piano a Bari (cui manca ormai un terzo della copertura aerea, come una dentatura senza incisivi: l’ennesima vergogna …). Squadra più fresca rispetto a quella spentasi in Brasile. Idea di gioco palesemente diversa: verticale e aggressiva. Disinvolto primo tempo. Clima amichevole nel secondo. Simone Zaza si guadagna con ragione la ribalta internazionale. Varie le incertezze, difensive, però. 

Da rivedere il tutto, dunque, con i punti in palio. Ma portiamo a casa alcune frazioni di gioco incoraggianti. Diamo merito ad Antonio Conte di avere sbloccato l’ambiente (i dantisti diranno “resettato”) e di avere avviato un nuovo percorso. Per stasera può bastare: ormai non possiamo permetterci che di vivere alla giornata.

Poveri ma (non più) belli


Stadio Olimpico, Roma, 30 agosto 2014

Veder giocare la Roma, alla prima di campionato, con la sua bella maglia rosso porpora senza il marchio dello sponsor sul petto (a parte quello “tecnico”) suscita umori contrastanti.

Da un lato si tratta certo di un emozionante richiamo della memoria dei tempi passati, pre pay-per-view, quando il calcio era sì professionistico ma non ancora commercializzato. Una maglia “pulita” è certo esteticamente più bella di quella con un logo pubblicitario.

Dall’altro si tratta dell’ennesimo segnale negativo del declino strutturale del movimento calcistico italiano. Non è solo la Roma a non avere ancora trovato uno sponsor, infatti, ma sono complessivamente ben sette (su 20) i club (ancora?) senza sponsorizzazione: Cesena, Fiorentina, Genoa, Lazio, Palermo e Sampdoria, oltre alla Lupa [vedi].

A fare da battistrada è stata la Lazio, che è da otto anni senza uno sponsor, perché Claudius Lotitus vive al di fuori della realtà al motto “Non sminuisco il valore del nostro marchio solo per metterci uno sponsor”. Lotitus si è arricchito con gli appalti pubblici: detiene ormai il monopolio delle pulizie del Palazzo romano. Vive di rendita sulla spesa pubblica, cioè, e pertanto non conosce una delle regole di base del mercato libero: “costi quello che vali”.

Ci sono società che si accontentano di sponsorizzazioni dell’ordine di 1 o 2 milioni di euro annui (Udinese, Empoli, Verona, Cagliari, Chievo, Atalanta, ma anche il Torino di Cairo, che è uno dei pochi imprenditori italiani che non vive di sola spesa pubblica, che si accontenta di incassare 2,5 milioni), e altre che sopravvalutano il valore del proprio “marchio”, e che si comportano come quei moltissimi proprietari italiani di appartamenti che chiedono cifre di vendita lunari rispetto a quelle che offre un mercato ormai comatoso.

I 13 club di Serie A con sponsor raggiungono tutti insieme una cifra (76 milioni) che è inferiore a quella della sola sponsorizzazione del Manchester United (79 milioni annui fino al 2021). D’altra parte la Tim sponsorizza con 15 milioni l’intero campionato quando la Barclays ne investe 50 sulla Premier che, come dicono gli azzimatimonager della nostra pedata, costituisce il “benchmark”.

D’altra parte, la Premier vende all’estero i diritti televisivi per 900 milioni annui, mentre la Serie A non va oltre i 120. In Asia Roma-Fiorentina non la vedono più di 400.000 telespettatori, mentre Everton-Chelsea ne raccoglie più di 3 milioni. Confronto impietoso, le cui motivazioni sono intuitive …

Stile casual: “Liverpool is a great team with young players, and that’s why I came here”


Anfield, 25 agosto 2014

La presentazione mediatica di Mario Balotelli, neo acquisto del Liverpool. Questa volta non lo affianca nessuno.

Leggi la cronaca inglese: 01-02 | Vedi i look del 2010 e del 2013

Bombe sulla Champions


Donetsk, 24 agosto 2014

Siamo talmente assuefatti alla terza guerra mondiale - come l’ha chiamata senza giri di parole papa Francesco [vedi] - che non riusciamo più a vedere ciò che sta accadendo nel prato del vicino, distratti come siamo invece dall’Ice Bucket Challenge, una delle più pelose campagne sociali che si siano mai viste sui media (e anche in questo caso il “plurinominato” papa Francesco ha ricordato con buon senso che “la vita di un cristiano è piena di atti generosi – ma nascosti – verso il prossimo”).

Domenica mattina, 24 agosto 2014, a Donetsk, un paio di esplosioni hanno sfregiato la Donbass Arena [vedi], uno dei moderni santuari del calcio del terzo millennio, quello sintetico della musichetta della Champions e della virtualità da play-station.

Si dà il caso, però, che si tratti questa volta di bombe vere, di guerra vera, non virtuale, con morti, feriti e sfollati. Lo Shakhtar si è dovuto “ritirare” all’Arena Lviv da settimane per continuare a giocare. Ma non è detto che basti. Attenzione, però: le retrovie sono adesso il Westfalenstadion e San Siro …

Codice etico


Roma, 19 agosto 2014

E’ noto come il nostro paese coltivi un rapporto complesso tra etica e politica, per il peso storico della tradizione cattolica nei costumi e nei caratteri nazionali. Il primo grande pensatore che ce ne ha reso edotti è stato, come sappiamo, Niccolò Machiavelli qualche secolo fa, a costo di essere tacciato lui stesso di immoralità (per prima proprio dalla Chiesa).

L’elezione a Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio di un personaggio che ha usato un’infelice espressione razzista è stata considerata, come è noto, riprovevole e scandalosa soprattutto nei paesi, di tradizione riformata, che hanno sviluppato la grande narrazione del “politicamente corretto” (di cui proprio un intellettuale anglosassone come Robert Hughes ha svelato la natura pericolosamente dogmatica fondata “sul cadavere del liberalismo” [vedi]), e nei grandi organi di stampa internazionali che usano amplificare “la cultura del piagnisteo” fino a ridurla a una caricatura di pensiero e di costume.

Anche in risposta a queste sollecitazioni, qualche giorno fa il presidente dell’Associazione italiana calciatori, Damiano Tommasi, ha chiesto che il neo Presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, sia sottoposto a giudizio dagli organi sportivi preposti per la frase a contenuto razzista su Optì Pobà, per un’esigenza di “credibilità” del sistema: “non bastano le scuse o le rettifiche. Ritengo sia giusto esaminare il caso serenamente dal punto di vista della portata discriminatoria, come si fa per un calciatore che offende un altro calciatore in campo o per i tifosi che intonano certi cori”.

Molto probabilmente la richiesta cadrà nel vuoto, a meno che il braditipico Procuratore generale della FIGC, Stefano Palazzi, non si attivi entro un paio di secoli per esaminare la denuncia in merito che gli è stata sottoposta da un tesserato della Federazione [vedi]. Se poi alla fine del percorso si arrivasse a una sanzione per il Presidente della FIGC, il risultato sarebbe solo una questione etica, valutabile, appunto sul piano del “politicamente corretto”. Una volta scontata, la sanzione non preclude infatti, in punta di diritto, l’esercizio delle cariche istituzionali. Tavecchio continuerebbe comunque a svolgere il proprio ruolo politico in modo legittimo. Se lui e i suoi sostenitori non hanno ritenuto di dover ritirare la candidatura alla Presidenza per inseguire un’investitura “democratica” (vulgariter: frutto delle promesse e delle negoziazioni tipiche di ogni elezione politica), tantomeno è inimmaginabile che accolgano le richieste di dimissioni che pioveranno molto probabilmente dal fronte degli indignati.

E’ in questo contesto che va collocata anche la nomina, da parte di Tavecchio, a Commissario Tecnico della Nazionale di Antonio Conte, condannato nel 2012 dagli organi della giustizia sportiva a 10 mesi (poi ridotti a 4 in sede di arbitrato) per omessa denuncia di frode sportiva. Conte ha scontato la sanzione e dunque non gli è precluso, in base alla normativa vigente, il pieno esercizio di un’attività istituzionale pubblica come quella di allenatore degli Azzurri, il cui stipendio (per la parte spettante alla FIGC) è pagato dal contribuente. L’espiazione della pena, però, non estingue il reato. Tecnicamente, cioè, Antonio Conte è un “condannato” dalla giustizia sportiva (come, per quella penale, è in attesa di giudizio, essendo tuttora indagato dalla Procura della Repubblica di Cremona [vedi]). Se non meraviglia che nel CV di Conte pubblicato sul sito dela FIGC non si faccia menzione delle condanne che la medesima Federazione gli ha comminato nel 2012, è invece curioso come il fronte del “politicamente corretto” non abbia levato voce alcuna sull’opportunità “etica” della sua nomina, in questi giorni di plebiscito nazional popolare sul suo insediamento (un cenno lo ha fatto il Beck, un articolo lo ha dedicato il solito "Fatto": per il resto silenzio tombale). L’arma di distrazione di massa - il Grande Timoniere avrebbe detto “il dito e non la luna” - è infatti il contratto pagato dallo sponsor, con grandi indignazioni di facciata, prêt-à-porter.

Al contrario nessuno rileva che ci troviamo di fronte a un Presidente della FIGC pluricondannato dalla giustizia per una serie di reati (falso, evasione fiscale, abuso d’ufficio, etc.: riabilitati, ai sensi dell’art. 178 del codice penale, e pertanto con fedina penale immacolata) che non gli hanno impedito (anzi …) di intraprendere una carriera politica che lo ha portato alla veneranda età di 71 anni a salire sulla poltrona più alta del calcio italiano (nonostante un’interrogazione parlamentare presentata nel 2010 non abbia ancora ricevuto risposta sulla liceità dell’elezione a Presidente della Lega Nazionale Dilettanti [vedi]). Il medesimo ha designato CT della Nazionale un condannato dalla medesima FIGC, in attesa di giudizio da parte della giustizia penale.

Tutto culturalmente coerente e, soprattutto, tutto perfettamente legittimo sul piano giuridico. Nulla di “agghiacciante”, per carità: siamo discendenti di Machiavelli e nulla ci sorpende più, non solo nel nostro amato paese. L’unica speranza è che questa volta abbiano almeno la compiacenza di risparmiarci un “codice etico”.

Senza futuro


Fiumicino, 11 agosto 2014

Molti opinionisti hanno voluto vedere nell’elezione di Carlo Tavecchio alla Presidenza della Federazione Italiana Giuoco Calcio uno specchio della situazione più generale del nostro paese. La constatazione è ovvia quanto generica. Qui proviamo a offrire una lettura di alcuni risvolti su cui ci si è meno soffermati in questi giorni.

Muoviamo dal documento fatto circolare nei giorni scorsi da Sky [vedi], in cui l’emitente metteva a fuoco l’insostenibilità di uno scenario del calcio italiano che continui a non intervenire sul declino strutturale che lo avviluppa da almeno 15 anni, a tutti i livelli: risultati sportivi, qualità del gioco, sviluppo dei vivai, adeguamento delle infrastrutture, accoglienza del pubblico, violenze degli ultras, formato dei tornei, e ovviamente i disastrosi bilanci economici, che hanno portato al fallimento di almeno 40 società professionistiche. Il documento di Sky, poi derubricato politicamente a “informativa aziendale”, va letto come un segnale ai naviganti: “è difficile immaginare che le istanze di cambiamento provengano dalle persone che alla crisi di sistema hanno contribuito”; Tavecchio “rappresenta vecchie logiche gestionali ed è quantomeno corresponsabile dell’attuale stato di crisi sistemica. Non è un uomo di sport, ma figlio di una gestione “politica” dello sport”. Testuale.

Perché Sky ha deciso di prendere posizione così apertamente? Perché, con una procedura che definire opaca è usare un eufemismo, alla fine di giugno, nei giorni in cui la Nazionale usciva sconfitta ai Mondiali, la Lega Serie A ha venduto all’asta i diritti TV per il triennio 2015-2018 aggiudicandoli - si noti - non al migliore offerente (Sky, che minacciava di “scendere in campo” anche sul digitale terrestre) ma tenendo conto degli interessi in gioco, cioè quelli di Mediaset [vedi]. Grande cerimoniere di un compromesso che ha distribuito il becchime un po’ a tutti, il presidente della Lega Maurizio Beretta, sotto l’egida di Adriano Galliani. Sky ha iniettato 572 milioni nel sistema. Ma non è detto che sia disponibile a farlo di nuovo nella stessa misura in futuro. Aleggia pertanto - e Sky lo ha fatto ben capire - una possibile riduzione del finanziamento che l’emittente di Rupert Murdoch ha finora garantito, soprattutto se la qualità dello spettacolo continuerà a essere così modesta e declinante anno dopo anno.

Potrebbe supplire Mediaset, ma al costo, probabilmente, di cedere grossa parte (se non la maggioranza delle azioni) di Premium a partner esterni a Fininvest, come ha cominciato a fare pochi giorni fa vendendone l’11% agli spagnoli di Telefonica. Il grande squalo in attesa è Al Jazeera, ma Silvio Berlusconi non ha intenzione di vendere i gioielli di famiglia: come nel caso del Milan, dove ha preferito dismettere i campioni piuttosto che smettere di esserne proprietario, anche per Mediaset non ha intenzione di cedere. L’acquisto dei diritti in esclusiva della Champions League per il triennio 2015-2018 sono stati, a un tempo, un salasso e una scommessa a molte incognite. Difficlle credere, comunque, che nel 2018 Mediaset sia in grado di iniettare nel calcio italiano i 572 milioni immessi da Sky nel futuro triennio.

Il futuro dei club è dunque assai incerto, perché essi si sono ormai ridotti a vivere della sola rendita dei diritti televisivi, che sono voracemente consumati per pascere le ricchezze private dei presidenti e dissipati per mancanza di una cultura imprenditoriale capace di produrre nuova ricchezza. Rare le eccezioni: più o meno quelle che, infatti, non hanno votato Tavecchio. L’elezione di quest’ultimo è stata una scelta politica molto chiara: tirare a campare, consuamere l’esistente, senza pensare al futuro. Come sta facendo la maggioranza degli italiani, quella che resiste abbarbicata alle proprie rendite di posizione, mettendo in atto tutte le interdizioni possibili alle misure intese a intaccarle per il bene comune. Si tratta di un fronte, trasversarle, che attraversa ogni campo sociale e ogni settore economico, e che vive sostanzialmente di “rendita”: non solo la famelica casta dei politici, che resiste pervicacemente ad ogni minima riduzione dei privilegi, ma anche le burocrazie parlamentari e ministeriali che si oppongo in ogni modo alla limitazione delle loro prebende, gli ordini professionali che resistono ad ogni liberalizzazione di accessi e tariffe, i lavoratori dell’Alitalia che rifiutano i termini dell’accordo con l’Ethiad, i professori universitari e i magistrati che si rifiutano di andare in pensione a 68 anziché a 70 anni, i dipendenti pubblici di comuni commissariati che vivono come una condanna alla povertà il taglio di 40 euro mensili di uno stipendio che rimane comunque più elevato di quello dei dipendenti dei comuni limitrofi … E potremmo continuare con infiniti esempi possibili. E’ questa l’Italia che sta affondando il paese, perché - in anni di crisi economica - vive di vecchie rendite, senza produrre ricchezza, e consuma le riserve di quella collettiva. E’ un’Italia miope perché pregiudica il futuro dei propri figli.

Le si contrappone una minoranza di italiani che, perlopiù esclusi dalle possibilità vivere di “rendita”, è costretta o ha scelto di vivere di idee e di produzione. Anche in questo caso si tratta di un fronte trasversarle che attraversa ogni campo sociale e ogni settore economico: dai centri di ricerca che continuano a fare innovazione (e dunque, potenzialmente, a produrre ricchezza), grazie anche all’impegno di molte giovani menti, agli imprenditori che, nonostante la crisi, continuano a investire in sviluppo e in prodotti che conservano ed espandono i loro mercati all’estero, agli operai che per conservare il posto accettano la riduzione di straordinari e bonus, alle banche e alle finanziarie che non lesinano il credito, a tutti coloro che sviluppano servizi di qualità nell’educazione, nella sanità, nei trasporti, nei servizi turistici, etc. E’ un’Italia che deve quotidianamente fronteggiare la protervia delle burocrazie e delle caste che vivono del potere di interdizione e di ricatto (cioè di corruzione). Ma è l’Italia che continua a produrre ricchezza e, soprattutto, a tenere viva la speranza di un futuro per il nostro paese. E’ l’Italia che vorrebbe riforme strutturali intese a favorire sviluppo, ricchezza, e lavoro, soprattutto per i più giovani.

Qualcosa che non si intravede in alcun modo nella trama di interessi, promesse e favori reciproci che hanno portato all’elezione di Tavecchio. L’esito è drammatico non tanto per l’impresentabilità del personaggio a livello internazionale quanto per l’assenza - anzi, la privazione - di futuro che esso annuncia.

Impuniti


3 agosto 2014

Sono trascorsi invano tre mesi dall’8 settembre del calcio italiano (Finale della Coppa Italia 2014) e le autorità hanno continuato a non “agire”.

Pare che il Ministro degli Interni stia per portare all’attenzione del Consiglio dei Ministri alcune misure. Ma siamo ancora agli annunci, alle parole. I fatti, da Cava dei Tirreni ad Auronzo di Cadore, alla faida tra “romanisti” e “napoletani” a colpi di accoltellamento in attesa del prossimo morto, dicono invece che la stagione degli ultras è ricominciata là dove era stata lasciata. Vale a dire impunita.

Le misure annunciate dal Ministro Alfano [vedi] sono preoccupanti per la loro pochezza: prolungamento del Daspo fino a otto anni, misure di prevenzione in caso di recidiva, potere di divieto di trasferta assegnato al ministro dell’Interno, etc. Acqua fresca.

E’ come curare un malato di cancro con l’aspirina. Se si nota bene sono tutte misure ex post, sul lato della pena annunciata (e poi raramente comminata) a reato (cioè a violenza) consumato, non c’è alcuna iniziativa preventiva.

Ricordiamo i termini - semplici e concreti, ispirati dal buon senso - della proposta avanzata della “Gazzetta dello sport”, che ci trova concordi e che sosteniamo appieno:
1) Scioglimento di ogni forma di tifo organizzato legato agli ultrà.
2) Divieto di ogni forma di striscione all’interno degli stadi. 
3) Galera. Intesa come certezza della pena.
A questi punti aggiungiamo:
4) Abbattimento di ogni barriera all’interno degli stadi.

Ci voleva molto? Sì, ci voleva molto, perché sarebbero state vere misure politiche, preventive e contenitive. Che avrebbero sollevato proteste, manifestazioni di piazza, interrogazioni parlamentari, campagne mediatiche, “canguri” e quant’altro. Qualcosa di pericolosissimo per questa pessima e inadeguata classe politica. Inadeguata perché non si assume la responsabilità di governare, cioè di decidere.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ammicca sul non poter dire nulla sulla penosa vicenda che porterà un impresentabile uomo di potere alla dirigenza della FIGC. Ma il Presidente del Consiglio dei Ministri dimostra di non volersi adoperare per estirpare dal calcio italiano il cancro degli ultras. Eppure c’era anche lui in tribuna, coi suoi figli, all’Olimpico il 3 maggio 2014. La differenza tra Tavecchio e Renzi, sul governo del calcio, davvero non riusciamo a coglierla.

Il selfie


Roma, 1° agosto 2014

"Da quello che si legge, visto il clima, penso sia molto difficile poter governare nei prossimi due anni. Siamo tutti in libertà provvisoria".

La presa di coscienza di Mario Macalli, 77 anni, presidente della Lega Pro, al termine del Consiglio federale della Figc.Che comincia a smarcarsi: ”Se fa bene Tavecchio ad andare avanti con la candidatura alla presidenza della Federcalcio? Dovreste chiederlo a lui, non a me. Sicuramente da questa situazione il calcio italiano non ci ha guadagnato. ll comunicato che ho firmato non era sull’appoggio a Tavecchio, ma contro il commissariamento” …

Il rinnovamento nella continuità


Roma, 29 luglio 2014

Claudius Lotitus ha fatto il liceo classico e lo sfoggia a ogni pie’ sospinto [vedi l‘“a tu per tu” con Salvatore Merlo]. Rispetto al suo giovin pupillo Carlo sTravecchio è un Himalaia di capacità retorica: tanto il futuro presidente della FIGB non riesce a mettere tre parole in fila con appropriatezza lessicale e sintattica [ammira], tanto il presidente della S.S. Lazio è facondo di retorica, di cui conosce alcuni “trucchi” che gli antichi latini hanno insegnato alla posterità. Tra questi la dotazione di un set di frasi pronte (altri direbbero fatte) per ogni circostanza.

Roma, 14 gennaio 2013, rielezione “bulgara” di Giancarlo Abete alla presidenza della FIGC. Commento di Claudius Lotitus: “Abete è la continuità nell’ottica del rinnovamento” [vedi].

Milano, 18 gennaio 2013, rielezione dello pseudo-dimissionario (dal marzo 2011), Maurizio Beretta alla presidenza della Lega calcio di Serie A. Commento di Claudius Lotitus: “rappresenta l’innovazione nella continuazione” [vedi].

Roma, 29 luglio 2014, a sostegno della candidatura di Carlo sTravecchio alla presidenza della FIGC: “perché rappresenta il rinnovamento nella continuità” [vedi].

Non è un disco incantato, ma una strategia retorica. L’interpretazione è semplicissima: l’innovazione sono le facce degli eletti, la continuità il potere degli elettori.

Come ha giustamente osservato Aligi Pontani “Tavecchio è quello che è, non nasconde nulla di sé. Un signore un po’ avanti con gli anni e molto indietro con la capacità di esprimere qualcosa di decente, un tizio abituato a gestire un potere fatto di intrighetti, promesse, pacche sulle spalle, affarucci e affaroni, sguazzando felice in un grande mare di mediocrità. Eppure la colpa non è sua, così maldestro da essere se stesso anche nel momento sbagliato, quando avrebbe dovuto provare a vestire i panni di qualcun altro, il dirigente maturo e saggio e prudente e silenzioso. Invece Tavecchio è questo, quindi ha parlato, ha detto quel che ha detto, si è rovinato. La colpa, dunque, è solo di chi in queste lunghe settimane di pietose trattative, aveva scelto proprio uno così, un Tavecchio, come uomo del destino e del futuro. E’ nella decisione ponderata e risoluta di sostenere uno così che si racchiude tutto il senso del declino del calcio italiano. E’ lì che va cercata la colpa. Nei piccoli e miserabili interessi di bottega che hanno spinto i presidenti delle squadre di calcio, prima quelli della serie B, poi quelli della serie A, ad accordarsi per sostenere il niente rappresentato da Tavecchio. È negli accordi sulle tante fette da spartirsi, sugli equilibri di potere, sulle quote di territorio destinate agli uni o agli altri: tu mi dai i tuoi voti della serie B per essere eletto e io, Tavecchio Carlo, ti garantisco che la mutualità, i contributi per la tua Lega, non saranno toccati. Tu mi dai i tuoi pochi ma pesanti voti della serie A e io, Tavecchio Carlo, ti garantisco che la Figc farà gli interessi dei grandi e dei piccoli club, offrendo soldi a chi retrocede e poltrone a chi galleggia in mezzo, regole meno fastidiose per chi vuole fare affari con il mercato e sanzioni meno pesanti per chi ha tifosi che fanno cori razzisti, o magari, ironia del destino, tirano banane in campo” [vedi].

I responsabili impresentabili


27 luglio 2014, giorno di scadenza per la presentazione delle candidature alla presidenza della FIGC

Quasi tutti i presidenti delle società professionistiche sono schierati con l’ex-democristiano, ultra settantenne, già sindaco di ponte Lambro e presidente della Lega Dilettanti, Carlo Tavecchio. Tutto pareva filare liscio, ma il candidato dei potenti è scivolato sulle bucce delle banane che mangiavano certi giocatori prima di diventare titolari in Serie A. Ovvio non si riferisse a Totti, Pirlo e Buffon. Immediato e quasi unanime, si è alzato il coro sdegnato: come può insistere a candidarsi Tavecchio? Come possono i suoi grandi elettori continuare a tenerlo in pista? La sua inadeguatezza è evidente. Infatti questo è il punto. Il problema non è Tavecchio, il problema è chi lo sostiene. I dirigenti dei grandi club, con pochissime eccezioni. I principali responsabili (non gli unici) del declino sportivo, economico e culturale vissuto dal nostro calcio nell’ultimo decennio, in una progressione che non sembra sul punto di arrestarsi. Hanno bruciato Albertini in un amen, reo di essersi messo a disposizione, e di averlo fatto dicendo nel contempo due o tre cose sacrosante, e non mollano Tavecchio, dinosauro immarcescibile, garante di equilibri pregressi e processi di cambiamento molto soft. Ora per loro, e per lui, le cose potrebbero essere più difficili. I politici, in altre faccende affaccendati fino all’altro ieri, hanno reagito; in particolare, ha reagito il cerchio magico di Renzi. La stampa lo attacca. La cosiddetta ‘opinione pubblica’, quella chiamata ad esprimersi attraverso i sondaggi e quella che tambureggia sui social, non lo vuole. Chissà.

La stagione è cominciata


21 luglio 2014, Campo sportivo “Desiderio” di Cava de’ Tirreni

E’ cominciata la stagione; anche quella degli ultras, come era facilmente prevedibile. Al campo sportivo “Desiderio” di Cava de’ Tirreni, amichevole precampionato tra Casertana e la locale Equipe Campania. A un quarto d’ora dalla fine della partita, “un gruppo di trenta teppisti, probabilmente frange estreme del tifo locale” (così li etichetta il “Corriere del Mezzogiorno”), ha fatto irruzione sugli spalti del campo, armati di mazze e spranghe di ferro e con il volto coperto da caschi, iniziando prima a lanciare fumogeni contro i tifosi dell’altra squadra e poi lanciandosi contro i tifosi casertani. Il blitz è stato fulmineo, fra choc dei presenti e assenza di forze dell’ordine al cui arrivo gli ultrà si erano già dileguati. “Le forze dell’ordine indagano negli ambienti del tifo estremo della Cavese anche perchè tra le due tifoserie c’è sempre stata una rivalità accesa” [fonte].

Richiesto di un parere il Presidente (da 17 anni) della Lega Pro Mario Macalli (77 anni all’anagrafe, da 52 nel calcio [vedi]), ha dichiarato: “Ci sono delinquenti che devono essere individuati e ingabbiati. Senza certezza della pena non si andrà da nessuna parte. C’è gente che colpisce perché si sente al sicuro”. In sostanza, Ponzio Pilato: “se ne occupino altri”.

La domanda è semplice: cosa fa il presidente Macalli, cosa fanno i presidenti dei 101 club professionistici italiani perché le autorità “competenti” adottino misure di prevenzione e di contenimento?

La risposta è pesante: nulla. Sono trascorsi invano quasi tre mesi dall’8 settembre del calcio italiano (Finale della Coppa Italia 2014, Roma, 3 maggio) e le autorità hanno continuato a non “agire”. Nessuno - dal Presidente del consiglio al Presidente della Lega Serie A - si è adoperato per estirpare dal calcio italiano il cancro degli ultras [La campagna di Eupallog e dei suo lettori].

Una donna normale (e grande)


Remanzacco, 17 luglio 2014

Donatella Visintini è un nome che - giustamente - non dice nulla alla massa dei tifosi e degli appassionati pallonari italiani. E’ una signora che vive a Remanzacco, nel contado di Udine, fa la casalinga mentre il marito lavora come bidello. E’ una di quelle donne - figlie, madri, mogli - che tengono in piedi il nostro paese ogni giorno che il buon Dio manda in terra, e che lo rendono possibilmente un po’ meno slabbrato. Come? Con il buon senso e la pragmaticità del genere femminile.

Suo figlio si chiama Simone Scuffet, ha compiuto da poco 18 anni ed è una giovane promessa del calcio italiano. Per i suoi genitori ciò significa essere catapultati in una dimensione che non è più quella di accompagnare il proprio figliolo alle partite della domenica, nella partecipata trepidazione per i suoi esiti agonistici comune a molti genitori. Non a tutti. Le cronache e le esperienze di ciascuno di noi sono infatti piene di episodi di genitori che ripongono tutte le loro rancorose e frustrate rivincite nel sostegno da ultras ai propri rampolli in mutande e tacchetti.

Basta scorrere la pagina Facebook della signora Donatella [vedi] per coglierne la solidità degli affetti e la semplicità delle emozioni: la foto dei fuochi d’artificio alla sagra dei Gamberi di Remanzacco alternata a quella dei primi ritagli dei giornali per le imprese del figlio, quella dell’albero di Natale acceso in casa sotto la litografia del Canal Grande inframezzata all’orgoglio materno per il giovane campione della Nazionale, quelle autoironiche di lei che gioca un po’ goffamente a palla tamburello a quelle dell’esordio in A di Simone, etc. etc.

Basta scorrere questo profilo - i like ai Pink Floyd e all’Associazionismo sportivo, a Candy Crush Saga e al Trofeo Nereo Rocco - per capire perché Donatella Visintini si è serenamente opposta al trasferimento di suo figlio nella Liga spagnola. Prima Simone deve prendersi il diploma di Ragioneria nel giugno 2015 (ed è deboluccio in Economia, a quanto pare) e poi se ne riparlerà nell’estate dopo la Maturità. Ma che scherziamo? Meglio che concluda gli studi a Udine.

Gli avvoltoi giornalistici stanno tempestando di telefonate casa Scuffet in queste ore, increduli e incapaci di comprendere come Simone a la sua famiglia possano rinunciare a 4,5 milioni di euro in cinque anni [vedi]. La signora Donatella ha chiesto la cortesia di essere lasciata in pace. Storie come queste confortano il cuore e aprono alla speranza sulle sorti di questo nostro grande e smarrito paese. E dunque sulle sorti del nostro calcio.

Fallo di reazione


Il Bestiario del Calcio - No Tav, please
9 luglio 2014

"Quando io vado a lavorare, produco e pago le tasse, lui e la sua famiglia fino a oggi hanno spolpato l’Italia". Così il presidente della Lega Pro Mario Macalli ha reagito, in occasione dell’inaugurazione del calciomercato a Milano, al tackle del presidente della Juventus Andrea Agnelli [vedi].

E ha proseguito: “Cerchiamo di offendere meno, a nessuno è permesso. Non sono unti dal Signore, hanno solo il cognome e senza quello forse andrebbero in un tornio ogni mattina e vediamo quanti pezzi producono in un’ora. Io mangio a casa mia, non mangio con i soldi del governo italiano”. 

E’ questo il bon ton della sedicente classe dirigente italiana. Che non esita a ricorre ai soliti toni intimidatori: “Chi ha un programma si presenti, lo dica apertis verbis e venga a prendere i voti. Gli scienziati atomici che sento parlare non ci fanno paura. Sento nomi sparati a vanvera, così tanto per fare. Se gli dai un bicchiere, forse forse quei signori fanno una O, se ce la mettono tutta”.

E a quelli irridenti: “Mi auguro che un giorno queste persone si siedano a parlare con noi che abbiamo le badanti e vediamo. Per un anno e mezzo la Serie A ha disertato il consiglio federale perché voleva più stranieri, oggi ci fa la lezione. Parlano perché devono dare aria alla bocca. Chi è giovane ha il vantaggio di essere appunto più giovane dell’anziano, ma lo svantaggio che non sa se raggiungerà l’età dell’anziano. Quelli che hanno bloccato il calcio italiano fanno giocare il 60% di stranieri nelle loro squadre, e il 90% sono pippe. Parlano di squadre B, ma quanti giovani hanno tirato fuori dai loro vivai? Da me non farebbero nemmeno i portinai. I club di A diano a noi i loro salumi. Li faremo stagionare bene, ma vogliamo essere pagati per questo”.

E al doroteismo: “In questi giorni la democrazia viene calpestata, ora stanno scocciando davvero. Uno si presenta col programma e chiede i voti. Se li prende governa sennò va a casa. Io sostenni da solo Abete che pur prendendo il 65% dei voti non riuscì a essere eletto: quelli che oggi ci vogliono dare lezioni sono gli stessi che hanno bloccato il calcio italiano per anni. Le società di Lega Pro decideranno secondo il loro volere ma io ho il dovere di spiegare loro ciò che penso. Se qualcuno ha dubbi venga da me a vedere quanti voti si prendono”.

Battuta finale: “E poi i clown e ballerine assunti dalle tv devono smettere di offendere”.

Che tristezza: questa è la nostra “classe digerente” (e non è un errore di battitura). Mario Macalli ha appena compiuto 77 anni, lavora nel calcio da 52, è presidente della Serie C da 17: sotto la sua presidenza sono fallite decine di squadre e il movimento è ormai agonizzante. Decenza vorrebbe che rassegnasse le dimissioni. Immediatamente.

Fonti: 01-02

Il durissimo tackle di Andrea


Roma, 8 luglio 2014

Intendiamoci: il Giovin signore è un tipo arrogante, che si fa vanto di tale virtù, ed è a capo di un club che comunque ha un giro d’affari non paragonabile con quello delle altre società italiane. In altri termini è portatore di interessi ben chiaramente individuabili e definiti, a cominciare dalla percentuale dei diritti televisivi.

Come era facilmente immaginabile (e come avevamo immaginato mesi fa: vedi) la Juventus è sempre più sola nel sistema calcistico italiano. Troppo avanti (in slang: academy, stadio, marketing, brand, etc.) rispetto a qualsiasi altro club della Serie A. Ancora molto indietro (a cominciare dalle scelte di mercato, e non tanto per ridotta disponibilità finanziaria) in Europa. E’ in mezzo al guado. E scalpita.

Durissime le parole pronunciate oggi intervenendo al convegno ‘L’impatto economico dello sport’ alla Camera dei Deputati. A parte le solite cadute di buon gusto (“Prandelli si è felicemente sposato in Turchia dove la pressione fiscale è minore”), ha detto alcune cose vere e condivisibilissime sulla crisi sistemica della dirigenza del calcio italiano.

Sul presidente dimissionario della FIGC Giancarlo Abete: “Non ringrazio Abete per averci lasciati soli. Il tempo che ci ha dato Abete con le dimissioni da presidente federale è un tempo molto limitato e questo rende tutta l’analisi molto più complicata. Noi avevamo già previsto un’assemblea per l’11 agosto che era un’assemblea tecnica e di servizio. Tramutarla in un’assemblea elettiva è un gesto irresponsabile. Su questo non sono d’accordo. Le sue sono peraltro dimissioni parziali, perché invece ha tenuto le cariche alla Uefa e al Coni. Per coerenza, a questo punto, dovrebbe dimettersi anche dalle altre posizioni”.

Sul candidato che più si sta agitando in queste settimane per succedere ad Abete sulla carega federale, Carlo Tavecchio, il numero uno della Lega Nazionale Dilettanti: “Non ha autorevolezza. Nella Uefa e nell’Eca comandano due grandi ex calciatori, Platini e Rummenigge, la loro autorevolezza e capacità è riconosciuta. Un francese un po’ visionario e un tedesco solido, ma quando questi due signori entrano in stanza la gente schizza in piedi. Farei più fatica ad immaginare che lo stesso trattamento di autorevolezza possa essere riservato a uno come Tavecchio”. Il quale, inoltre, “ha un forte supporto di Carraro e quindi sappiamo che ha un forte supporto di un sistema che viene da lontano. Noi faremo valutazioni per cercare qualcosa di nuovo”.

Sulla necessità di una riforma profonda del sistema: “C’è bisogno di un intervento profondo, radicale e riformista, che ci proietti in un’altra dimensione. Il calcio ha bisogno di riforme, di interventi strutturali, non serve un ponte che ci traghetti per due anni alle prossime elezioni. Le riforme profonde vanno fatte subito. Abbiamo bisogno di interventi seri oggi”. 

Sull’identikit del futuro Presidente: “una persona che ha capacità e numeri, una visione di medio lungo periodo per consentircelo. Il candidato che serve in questo momento di crisi è un ex grande calciatore che abbia autorevolezza calcistica. Albertini presidente? Questo non lo dico io, ma corrisponde senz’altro all’identikit così come può essere Cannavaro, Vialli e Costacurta: sono giocatori del recente passato che hanno sufficiente esperienze dirigenziali e manageriali. Guardiamo alla generazione di giocatori che hanno giocato a cavallo degli anni 2000. Sicuramente è gente che saprebbe rappresentare il calcio in maniera importante. È altresì importante la classe dirigente che li accompagnerebbe in questo percorso perché da solo nessuno riuscirebbe a cambiare la Federcalcio attuale e ad apportare le riforme che servirebbero”.

Il problema, però, come ammette lo stesso presidente della Juventus FC è che è “difficile trovare cosa si cerca, ma si sa benissimo chi non si vuole…”.

Fonti: 01-02-03

Eupallog lancia la campagna “No Tav, please”

Il dazio della violenza tollerata



4 luglio 2014, Estadio Castelao, Fortaleza
Brasile-Colombia

Corre voce che, sia pure non ufficialmente, la FIFA abbia raccomandato agli arbitri una certa tolleranza. Fischiate pure, se credete, ma non sventolate troppi cartellini gialli. Soprattutto nei primi trenta minuti. C’è il rischio di rovinare le partite, e lo spettacolo televisivo ne risentirebbe, con grave danno per gli sponsor.

Dunque, gli arbitri operano come possono, e come è stato loro consigliato di fare. Sono messi nella condizione ideale per sommare errore ad errore. Se la cavano meglio gli assistenti, che finora hanno azzeccato una percentuale altissima di segnalazioni sulle situazioni di off-side.

Il gioco duro genera gioco duro, si sa. Il fallo sistematico non preventivamente stroncato con l’unico deterrente a disposizione (un’immediata esposizione di cartellini) mette i pedatori a fortissimo rischio. Così, nel giro di qualche giorno, sono finiti all’ospedale Onazi e Neymar (‘soprattutto’ Neymar, spot vivente del Brasile e della competizione stessa). Entrambi con fratture di una certa gravità. Ora che una ipotetica ‘stella’ della competizione è out per il resto della Coppa, Blatter sarà soddisfatto? E cosa penseranno gli sponsor?

Mandarini


Roma, 30 giugno 2014

Sconfortanti gli spifferi dal Consiglio Federale di oggi. Unica decisione: la data per eleggere il presidente. A quanto si dice, Carlo Tavecchio (sindaco democristiano di Ponte Lambro dal 1976 al 1995, e dunque sopravvissuto anche alla Democrazia Cristiana, e dal 1999 presidente della Lega Dilettanti) dispone dei voti per succedere ad Abete. Bene. Qualcuno ci spiegherà quali sono i suoi meriti? Quali le sue competenze? A noi piacerebbe che il calcio italiano fosse guidato da uomini che in questo ambito hanno acquisito meriti evidenti e riconosciuti. Qualche nome? Da Riva a Rivera a Mazzola, da Zoff a Maldini, da Baggio a Sacchi, e sono solo i primi che vengono in mente. Giovani o no.

Algérie vs France


26-27 giugno 2014

Presi come sono a inseguire il gossip di ogni genere, i media italiani “non si sono accorti” (eufemismo) di quanto accaduto in Francia nella notte successiva alla qualificazione dell’Algeria agli ottavi di finale dei Mondiali brasiliani. 

Incidenti e scontri con la polizia hanno fatto seguito alle feste spontanee dei moltissimi franco-algerini riversatisi per le strade delle città, grandi e piccole dell’Esagono. 74 arresti e 3 poliziotti feriti, tra Parigi, Lione, Lille, Roubaix e Marsiglia [fonti: 01-02-03].

Anche i media francesi hanno messo la sordina ai fatti perché si tratta di un problema esplosivo. La storia comincia a chiedere il conto del colonialismo francese in nord Africa e della mancata integrazione degli immigrati che ne è seguita. Uno dei punti di tensione è la doppia cittadinanza, che permette agli algerini di Francia di mantenere o assumere anche quella algerina. Basti pensare come per le ultime elezioni tenutesi nel paese del Maghreb hanno votato in Francia ben 800.000 persone.

Cosa c’entra tutto ciò con il calcio? Basta fare due nomi: Zidane e Benzema per comprendere la difficile gestione della doppia identità, o forse dell’impossibilità di poterla risolvere.

Il governo socialista ormai alla deriva ha provato a buttarla sull’ordine pubblico, accusando i soliti “casseurs”: il Ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve ha parlato di un “poignée de casseurs isolés, qui profitent de manifestations sportives pour gâcher des moments qui peuvent être festifs”.

Il presidente del Front National, Marine Le Pen, ne ha approfittato per tuonare, vento in poppa: “Il faut maintenant mettre fin à la double nationalité et arrêter l’immigration. La démonstration de l’échec total de la politique de l’immigration et le refus exprimé, par un certain nombre de binationaux de l’assimilation. Il faut choisir, être français ou être autre chose. Il faut que l’Etat retrouve son autorité. Il n’y a pas un pays au monde qui accepterait de subir ce que nous subissons sur notre territoire” [fonte].

Si parla di calcio, anzi di foot, cioè di politica. Su come il calcio, per l’Algeria, sia un fronte politico aperto con la Francia, una sorta di permanente rivendicazione di indipendenza, si vedano - in assenza di analisi in quelli italiani - quelle offerte da media internazionali come "Al Jazeera", "Guardian" e "Washington Post".

I furbetti della carrozzina


Bestiario mondiale
21 giugno 2014

Noi italiani amiamo lamentarci del “degrado morale” del nostro paese, quasi sempre senza domandarci in che modo contribuisca virtuosamente ciascuno di noi. Ma tutto il mondo è paese. Non solo a Palermo si entra allo stadio in carrozzina per usufruire dei posti riservati ai “diversamente abili” [vedi]. 

Queste foto stanno facendo il giro del mondo e la dicono lunga sul “degrado morale” dell’umanità. A meno di non credere ai miracoli di cui è fonte inesauribile il futebol.

Il direttore marketing della Fifa, Thierry Weil, sembra non crederci: “È una truffa” ha dettato alle agenzie. Ma cosa farà per evitarla? Pare che il bagarinaggio ai Mondiali sia un fenomeno enorme, peggio che davanti ai nostri lager [vedi].

L’Italian politician under fire


Bestiario Mondiale
15 giugno 2014

"Fa piacere mandare a fare …. gli inglesi, boriosi e coglioni". Questo il cinguettio gentile dell’onorevole Maurizio Gasparri, vice-presidente del Senato della Repubblica Italiana", datato 2:00 AM - 15 Giu 2014 - Cava de’ Tirreni, Salerno, Italia.

Si commenta da solo. Ma è un pezzo di giornalismo british la notiziuola che ne ha dato il Guardian: “Italian politician under fire after labelling English ‘pretentious pricks’”. Con dovizia di spiegazioni lessicali: “Mr Gasparri used the word coglioni which is literally translated as testicles, but is used as an offensive means of calling someone a prick or an arsehole. He left a blank where the Italian term for “fuck yourselves” was the obvious phrase missing”.

Viene poi rammentato il CV del suddetto: “former minister of communications under Silvio Berlusconi and one of the media mogul’s most loyal party faithful; a politician who is also outspokenly anti-immigration, is one of Italy’s most gaffe-prone politicians. He has repeatedly offended fellow ministers, journalists using social media. After Barack Obama was elected in November 2008, he famously said on RAI that with Obama in the White House “al-Qaida is happier”, drawing jeers from his political opponents”.

Non contento, Mr Gasparri ha ribattuto: “Una tempesta in un bicchier d’acqua. Mi diverte questa polemica un po’ ridicola che hanno montato su una cosa avvenuta nell’euforia per la vittoria. Il fatto è che l’Italia batte abitualmente l’Inghilterra nelle partite importanti. Noi siamo 4 volte Campioni del Mondo mentre loro hanno vinto la Coppa solo una volta nel ’66”.

Mafia family


Bestiario Mondiale
11 giugno 2014

"Fifa, I’m afraid, behaves like a mafia family. It has a decades-long tradition of bribes, bungs and corruption, About half of its executive committee who voted on the last World Cup have had to go … Don Corleone, I believe, would have recognised the tactics and he probably would have admired them."

Lord David Triesman, già presidente della Football Association

Il Diavolo del Mercoledì


Bestiario Mondiale
5 giugno 2014

In attesa di novità dall’acquario di Oberhausen, ieri ha parlato il Diavolo del Mercoledì. Che non è il simpatico Taz, ovviamente, bensì, all’anagrafe (incerta invero), Nana Kwaku Bonsam, un povero diavolo ghanese che si è guadagnato i suoi 15 minuti di popolarità planetaria (cui contribuiamo volentieri anche noi in questa rubrica).

I media politicamente corretti lo etichettano come “Ghanian Traditional Priest”. Quelli più popolari vanno per le spicce e lo etichettano più tradizionalmente come “Witch doctor”. Uno stregone, diremmo a casa nostra.

Cosa ha dichiarato the ‘Devil of Wednesday’ - ovviamemte ieri, mercoledì 5 giugno, e ovviamente alla “Angel” Radio FM di Kumasi? Che ha fatto la “fattura” (non quella commerciale bensì quella spirituale) niente popò di meno che a sua Maestà CR7. L’avrebbe fatta, a suo dire, nello scorso febbraio, onde impedire a Lara Croft di giocare contro il Ghana, e che ci sta continuando a lavorare quotidianamente attraverso le sue arti magiche.

Trascrizione: “I know what Cristiano Ronaldo’s injury is about, I’m working on him. I am very serious about it. Last week, I went around looking for four dogs and I got them to be used in manufacturing a special spirit called Kahwiri Kapam. I said it four months ago that I will work on Cristiano Ronaldo seriously and rule him out of the World up or at least prevent him from playing against Ghana and the best thing I can do is to keep him out though injury. This injury can never be cured by any medic, they can never see what is causing the injury because it is spiritual. Today, it is his knee, tomorrow it is his thigh, next day it is something else” [vedi].

I medici della nazionale portoghese parlano invece di “tendinite rotulea del ginocchio sinistro”. Punti di vista.

La professionalità di José


Bestiario Mondiale
3 giugno 2014

Media italiani in fibrillazione. Ha parlato lo Special One. Sull’Italia ai prossimi Mondiali. 

Queste le parole odierne: “L’Italia può fare tutto. Avrà un girone molto difficile in cui sicuramente qualche squadra importante dovrà finire la sua partecipazione al Mondiale. Ma l’Italia è l’Italia. La Nazionale di Prandelli ha giocatori di talento, ha l’esperienza, ha il savoir faire per affrontare certi momenti così importanti, e credo che l’Italia possa fare tutto. Ovviamente il girone sarà duro, ma se lo supererà, dagli ottavi in poi può far valere la sua preparazione. Se avrà successo, poi negli scontri a eliminazione diretta l’Italia è molto adatta questo tipo di situazioni. Anche la tradizione e la fiducia sono importanti. Credo che l’Italia possa fare molto bene. Dove arriverà? In finale, può vincere” [vedi].

Ovviamente è scattata l’esegesi. Ci fa o ci è? Provocazione? Gufata? Forse la spiegazione è più semplice di quanto non sembri. Una delle doti maggiori di José Mourinho è la professionalità: sposa sempre la causa e l’identità del datore di lavoro. L’intervista è stata data a Eurosport Italia, di cui sarà commentatore in esclusiva in occasione del Mondiale brasiliano. L’avesse data a Eurosport Germania o Spagna cosa avrebbe detto?

La cittadinanza attiva di Felipao


Bestiario mondiale
26 maggio 2014

Il mondo interconnesso dei social network offre ormai ai protagonisti planetari della pedata l’occasione per esternare in istantanea parole e stati d’animo, spesso in uno sciocchezzaio dilagante. La fase finale dei campionati mondiali offre però una risonanza senza pari, perché l’attenzione è concentrata sull’evento. Giorno per giorno infileremo le “perle” del bestiario, perché ne resti (caduca) memoria: soprattutto, per rifletterci sopra o per seppellirle con una risata.

Il via non poteva non essere dato dai padroni di casa. Il CT della Seleçao, Luiz Felipe Scolari, ha rilasciato ieri, nel primo giorno di raduno alla Granja Comary di Teresopolis, una infelice dichiarazione (di guerra?), di fronte alla contestazione di un gruppo di professori delle scuole pubbliche, che hanno fischiato all’indirizzo del pullman della nazionale: “Le proteste? Non sono un problema nostro. E i miei giocatori se ne infischiano delle manifestazioni: sono qui per giocare a calcio. La coppa fuori dal terreno di gioco non è un problema della Selecao. Sono la polizia e il governo che devono occuparsene. Chi ha l’obbligo di portarci in sicurezza fino al campo è la polizia. Noi dobbiamo solo giocare. Chi deve stare attento alle manifestazioni sono la polizia e il governo. Chi deve costruire strade non è il singolo calciatore né la Federcalcio, è il governo. L’unica spiegazione che dobbiamo dare alla gente è che la nostra funzione è di giocare a calcio. Qualcuno dirà che non dimostro uno spirito di cittadinanza attiva. Ma questo non è vero: il fatto è che non posso pensare ai problemi del mio Paese adesso, lo farò al termine dei Mondiali. Quello che accade per strada non raggiunge gli spogliatoi. I giocatori commentano e hanno libertà di farlo. Ma si tratta di opinioni personali, non possono parlare in nome dell’intera squadra. La Federcalcio lo ha ben spiegato sin dalla Confederations Cup: chi si esprime in un modo o nell’altro deve assumersi la responsabilità di ciò che dice”.

E’ evidente che Felipão non ha letto Football against the enemy di Simon Kuper, e non possiamo fargliene certo una colpa. Il fatto è però che l’assegnazione dei Mondiali 2014 al Brasile da parte della FIFA è stato un atto politico. Del quale le autorità brasiliane si devono assumere le responsabilità non solo quanto all’efficienza organizzativa, ma anche alla libera dimostrazione di dissenso da parte dei cittadini brasiliani che protestano, e non a torto, per le spese pubbliche fuori controllo e per la corruzione e il malaffare a esse legati. Per fortuna il Brasile non vive il regime dell’Argentina 1978. Ma “infischiarsene” delle proteste dei cittadini, significa semplicemente non essere dei buoni cittadini: attivi o meno.

Testimonial


Del calcio italiano (e magari anche della sua Repubblica)
11 maggio 2014

In Spagna il lanciatore della banana mangiata qualche settimana fa da Dani Alves, il 26enne David Campayo, è stato subito individuato e bandito a vita dallo stadio del Villarreal. Il club spagnolo ha troncato immediatamente la collaborazione esistente col ragazzo, e la giustizia sportiva lo ha punito con un “daspo” di due anni. Soprattutto, Campayo ha perso il posto di lavoro (era allenatore di una squadra di serie inferiore) e rischia tre anni di carcere per il reato di discriminazione, odio o violenza per motivi razzisti.

Le autorità politiche, giudiziarie e sportive della nostra Repubblica cosa faranno nei confronti dei responsabili dei lanci di banane - e coltelli - contro i giocatori Constant e De Jong dagli spalti dell’Atleti Azzurri d’Italia durante il malinconico Atalanta-Milan di ieri pomeriggio?

Rassegna per lor signori


4 maggio 2014 - Anniversario della tragedia di Superga (1949)

Decenza vorrebbe che i vertici istituzionali del calcio e dello sport italiano e quelli delle cosiddette “autorità competenti” alla gestione della partita di finale della Coppa Italia 2014, in un sussulto di buon senso, dessero le dimissioni.

Ma come usava ricordare (più di mezzo secolo fa …) un grande Italiano, l’abruzzese Ennio Flaiano, “non bisogna mai minacciare le dimissioni in Italia, perchè qualcuno potrebbe accettarle”. E aggiungiamo, sempre con lui: “La situazione politica in Italia [continua a essere] grave ma non è seria”.

Abbiamo qui raccolto una piccola rassegna stampa internazionale per i signori Giovanni Malagò [vedi quel che ne pensava Eupallog il giorno della sua nomina], Giancarlo Abete [idem] e Maurizio Beretta [idem] e, con loro, Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma [sul quale vedi anche], e Massimo Mazza, questore di Roma [qui in versione Pinocchio], nella certezza che non avranno il tempo in queste ore, “convulse”, per rendersi conto dell’ennesimo indegno spettacolo che hanno apparecchiato per la stampa estera.

El Pais

Mundo Deportivo

Frankfurter Allgemeine Zeitung

Daily Mail

Marca

The Guardian

Sports Illustrated

L’Equipe

Ma le frasi più tristi le ha dette il massimo rappresentante della Repubblica Italiana presente ieri allo Stadio Olimpico di Roma, il Presidente del Senato Pietro Grasso:
- “Sono stato più volte in procinto di abbandonare il campo perché ritenevo che queste occasioni di sport non potevano trascinare in una violenza di alcun senso”. Domanda: e perché non se ne è andato davvero? “Per senso del dovere” o per senso del ridicolo?
- Sui tifosi che hanno fischiato l’inno di Mameli: “Non è stato un esempio di civiltà istituzionale perché l’inno nazionale non c’entra nulla con tutto questo”. Forse l’ex Capo della Direzione Antimafia non si è reso conto che ieri sera Genny a’ Carogna ha sfidato lo Stato, la Repubblica e le Istituzioni. Ed ha alzato la Coppa (in Mondovisione).