Codice etico


Roma, 19 agosto 2014

E’ noto come il nostro paese coltivi un rapporto complesso tra etica e politica, per il peso storico della tradizione cattolica nei costumi e nei caratteri nazionali. Il primo grande pensatore che ce ne ha reso edotti è stato, come sappiamo, Niccolò Machiavelli qualche secolo fa, a costo di essere tacciato lui stesso di immoralità (per prima proprio dalla Chiesa).

L’elezione a Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio di un personaggio che ha usato un’infelice espressione razzista è stata considerata, come è noto, riprovevole e scandalosa soprattutto nei paesi, di tradizione riformata, che hanno sviluppato la grande narrazione del “politicamente corretto” (di cui proprio un intellettuale anglosassone come Robert Hughes ha svelato la natura pericolosamente dogmatica fondata “sul cadavere del liberalismo” [vedi]), e nei grandi organi di stampa internazionali che usano amplificare “la cultura del piagnisteo” fino a ridurla a una caricatura di pensiero e di costume.

Anche in risposta a queste sollecitazioni, qualche giorno fa il presidente dell’Associazione italiana calciatori, Damiano Tommasi, ha chiesto che il neo Presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, sia sottoposto a giudizio dagli organi sportivi preposti per la frase a contenuto razzista su Optì Pobà, per un’esigenza di “credibilità” del sistema: “non bastano le scuse o le rettifiche. Ritengo sia giusto esaminare il caso serenamente dal punto di vista della portata discriminatoria, come si fa per un calciatore che offende un altro calciatore in campo o per i tifosi che intonano certi cori”.

Molto probabilmente la richiesta cadrà nel vuoto, a meno che il braditipico Procuratore generale della FIGC, Stefano Palazzi, non si attivi entro un paio di secoli per esaminare la denuncia in merito che gli è stata sottoposta da un tesserato della Federazione [vedi]. Se poi alla fine del percorso si arrivasse a una sanzione per il Presidente della FIGC, il risultato sarebbe solo una questione etica, valutabile, appunto sul piano del “politicamente corretto”. Una volta scontata, la sanzione non preclude infatti, in punta di diritto, l’esercizio delle cariche istituzionali. Tavecchio continuerebbe comunque a svolgere il proprio ruolo politico in modo legittimo. Se lui e i suoi sostenitori non hanno ritenuto di dover ritirare la candidatura alla Presidenza per inseguire un’investitura “democratica” (vulgariter: frutto delle promesse e delle negoziazioni tipiche di ogni elezione politica), tantomeno è inimmaginabile che accolgano le richieste di dimissioni che pioveranno molto probabilmente dal fronte degli indignati.

E’ in questo contesto che va collocata anche la nomina, da parte di Tavecchio, a Commissario Tecnico della Nazionale di Antonio Conte, condannato nel 2012 dagli organi della giustizia sportiva a 10 mesi (poi ridotti a 4 in sede di arbitrato) per omessa denuncia di frode sportiva. Conte ha scontato la sanzione e dunque non gli è precluso, in base alla normativa vigente, il pieno esercizio di un’attività istituzionale pubblica come quella di allenatore degli Azzurri, il cui stipendio (per la parte spettante alla FIGC) è pagato dal contribuente. L’espiazione della pena, però, non estingue il reato. Tecnicamente, cioè, Antonio Conte è un “condannato” dalla giustizia sportiva (come, per quella penale, è in attesa di giudizio, essendo tuttora indagato dalla Procura della Repubblica di Cremona [vedi]). Se non meraviglia che nel CV di Conte pubblicato sul sito dela FIGC non si faccia menzione delle condanne che la medesima Federazione gli ha comminato nel 2012, è invece curioso come il fronte del “politicamente corretto” non abbia levato voce alcuna sull’opportunità “etica” della sua nomina, in questi giorni di plebiscito nazional popolare sul suo insediamento (un cenno lo ha fatto il Beck, un articolo lo ha dedicato il solito "Fatto": per il resto silenzio tombale). L’arma di distrazione di massa - il Grande Timoniere avrebbe detto “il dito e non la luna” - è infatti il contratto pagato dallo sponsor, con grandi indignazioni di facciata, prêt-à-porter.

Al contrario nessuno rileva che ci troviamo di fronte a un Presidente della FIGC pluricondannato dalla giustizia per una serie di reati (falso, evasione fiscale, abuso d’ufficio, etc.: riabilitati, ai sensi dell’art. 178 del codice penale, e pertanto con fedina penale immacolata) che non gli hanno impedito (anzi …) di intraprendere una carriera politica che lo ha portato alla veneranda età di 71 anni a salire sulla poltrona più alta del calcio italiano (nonostante un’interrogazione parlamentare presentata nel 2010 non abbia ancora ricevuto risposta sulla liceità dell’elezione a Presidente della Lega Nazionale Dilettanti [vedi]). Il medesimo ha designato CT della Nazionale un condannato dalla medesima FIGC, in attesa di giudizio da parte della giustizia penale.

Tutto culturalmente coerente e, soprattutto, tutto perfettamente legittimo sul piano giuridico. Nulla di “agghiacciante”, per carità: siamo discendenti di Machiavelli e nulla ci sorpende più, non solo nel nostro amato paese. L’unica speranza è che questa volta abbiano almeno la compiacenza di risparmiarci un “codice etico”.