He’s back


21 agosto 2013, Stamford Bridge, Londra

Ci aveva lasciati a maggio scorso con un rosso rimediato nella finale di Copa del Rey e ieri è finalmente tornato se stesso: irascibile, rissoso e sfrontato. Una sagoma, come sempre. Il povero Paul Lambert aveva le sue ragioni per lamentarsi con la quaterna arbitrale di Chelsea - Aston Villa, anticipo della terza di Premier: Ivanovic avrebbe meritato un cartellino rosso per la gomitata in faccia a Benteke, invece è andato poi a segnare, oltretutto in fuorigioco; e, a un minuto dalla fine, John Terry ha schiacciato via una palla dall’area con la manona del pallavolista. Un disastro arbitrale, che da noi avrebbe infiammato la settimana del teatrino mediatico. A Londra invece il tutto si spegne in 24 ore al massimo. 

Ma JM non lascia passare nulla: cazziatone immediato a Lambert nell’area degli allenatori (“the Happy One turns into Incredible Sulk during his touchline row with Lambert”, titola oggi il “Daily Mail”). E dichiarazioni paternalistiche nel dopo gara: “Until the 95th minute with the result unpredictable when nobody knows what is going to happen, Paul has a certain type of personality and behaviour on the bench that pushes for that. He reminds me of myself 10 years ago when I was complaining about every decision, when I want to coach my team and at the same time I want to have a whistle on my lip. He is the same. He will change. With time and experience he will change because he complains about every, every, every decision. But he is a young manager, very intelligent. He plays very well, adapted to the quality of his players. I wish him good. I like him and no problem. Just little discussions”. Impunito direbbero a Roma …

Fonte (con altre espressioni idiomatiche): "Daily Mail"

Il calcio è un dono di Dio


"Vi chiedo di vivere lo sport come un dono di Dio, una opportunità per far fruttificare i vostri talenti, ma anche come una responsabilità".

Papa Francesco

Città del Vaticano, 13 agosto 2013. Vigilia di Italia-Argentina

Il pensiero sociale di Cesare



Estate 2013

C’è «troppa disparità tra ricchezza e povertà: in un mondo civile è inaccettabile. La Confederations Cup mi ha lasciato l’impressione forte dei contrasti tra gli stadi nuovi e la miseria attorno. E poi la folla alle manifestazioni. Quando in strada vanno tanti giovani, devi ascoltare. La priorità non è il calcio: sono le scuole, l’assistenza ospedaliera, il lavoro». 

«Io credo che il mondiale brasiliano possa coesistere con una migliore politica sociale. Di sicuro è impossibile giocare bene in uno stadio costato 800 milioni che sta a 100 metri da una favela di 120 mila persone di cui il 20% senza cibo. Ma non pensiamo solo al Sudamerica. I contrasti si stanno ampliando anche in Europa. Di questo passo anche noi vivremo blindati e avremo le nostre favelas». 

Quando Balotelli a Salvador «mi ha chiesto di poter uscire perché una missionaria della favela era venuto a trovarlo, aveva una gioia negli occhi che gli ho detto di sì, anche se eravamo blindati in albergo. Mario ha la generosità e la sensibilità giuste».

I 120 milioni per Bale? «Perché non destinare per legge parte di somme del genere in spese sociali? Perché non porre dei tetti? I calciatori sono gli ultimi a poter fare qualcosa e i primi a spendersi in solidarietà. Devono muoversi presidenti e istituzioni. Il calcio fa troppo poco per andare verso la gente e contro le ingiustizie sociali. Un calcio più povero potrebbe guadagnarci».


In lode di un grande italiano (Eupallog)

Il giocatore ultrà


4 agosto 2013

Si chiama Gaetano Iannini, ha già trent’anni, gioca semi-professionalmente da tredici, e ha cambiato squadra ogni anno. E forse si comincia a capire perché. E’ assurto in cronaca il 4 agosto 2013 perché durante una partita di Coppa Italia tra Sudtirol e Matera è stato espulso dall’arbitro al 18° del primo tempo per aver rivolto i soliti insulti razzisti a un giocatore avversario, Caleb Ekuban. Come vien da dire - in omaggio alle circonlocuzioni giuridiche -, “ai sensi” del nuovo articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva, in vigore dallo scorso 4 giugno, si è beccato 10 turni di squalifica dal giudice sportivo Gianpaolo Tosel per aver rivolto un “epiteto insultante espressivo di discriminazione razziale a un avversario ghanese” [vedi].

E fin qui siamo alle solite. Più che il razzismo è in gioco l’assenza di educazione in cui è ormai precipitata una larga parte della popolazione (non solo italiana, si intende). L’arbitro è stato impeccabile, il giudice rapido e solerte. Tutto molto bene: nell’auspicio che la reazione sia altrettanto netta e rapida in futuro, e soprattutto costante nel tempo. Di personaggi come Gaetano Iannini, infatti, il calcio (non solo quello italiano) non ha alcun bisogno. Anzi.

Lo dice il suo pedigree. Lo scorso anno, quando vestiva la casacca del Casale, Iannini ha subìto un Daspo (acronimo per Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) di quattro anni perché durante una partita contro la Virtus Entella, minacciò il direttore di gara e aggredì due agenti di polizia entrati in campo per difendere gli arbitri. In breve, è un ultrà che non può frequentare gli stadi ma - per paradosso giuridico - vi può giocare. Resta una testa calda, come ce ne sono migliaia non solo nel mondo del pallone, ma anche nel traffico, nelle notti alcoliche, etc.

La contiguità ultras-giocatori la testimoniano non solo foto che parlano da sole come questa, ma anche le dichiarazioni di falso perbenismo e di sostanziale complicità in cui si prodigano i dirigenti delle società. Così, per esempio, il presidente del Matera, Saverio Columella: “Se il nostro giocatore ha sbagliato, è giusto che paghi. Ma, al di là di questo, mi sembra che la sanzione abbia anche connotazioni mediatiche. Noi condanniamo completamente il comportamento del nostro atleta: l’insulto razzista è imperdonabile, abbiamo già provveduto a multare il giocatore per l’espulsione rimediata nella partita. Ogni caso, però, va valutato in maniera specifica, il regolamento prevede che la squalifica di 10 giornate sia la sanzione massima. Se c’è un limite massimo di 10, non credo si debba partire per forza con il top. E’ la prima sanzione di questo tipo e, pertanto, deve essere esemplare. Mi sembra di rivedere le situazioni che si sono verificate quando entrò in vigore l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza in auto …”.

Fin che non si spezzeranno queste contiguità culturali tutto sarà inutile.

Con la cultura si mangia


31 luglio 2013, Napoli, Palazzo Reale

L’abbigliamento è quel che è, e certo non regale, ma quel che conta è che don Raffaè abbia avvertito la voglia di visitare un museo, nello specifico il Palazzo Reale di Napoli. Parrà strano, ma il respiro culturale fa bene anche al mestiere di allenatore. Non è un caso che molti dei tecnici di alto livello coltivino interessi culturali: i classici antichi e la musica jazz il Vecio Bearzot, la musica classica Trapattoni, l’arte contemporanea Capello (che amava giocare nella Nazionale di Pier Paolo Pasolini [vedi]), i musei Guardiola, etc. A conferma che la preminenza la fanno anche questi ingredienti.

Le foto della visita di Benitez sul CdS.

Il 23 ottobre 2013, don Raffaé ha visitato anche Pompei. “per scoprire le bellezze interiori di una città impressionante, con un valore e un bagaglio storico incalcolabile. Non saprei dire cosa ha richiamato di più la mia attenzione, sarebbe difficile, considerando tutto quello che ho visto: case, il teatro, il foro, taverne, terme, palestre, negozi. Tutto intorno alle opere infrastrutturali”: notizia.

E’ papa Francesco il vero furacão ...


25 luglio 2013, Varginha, Rio de Janeiro

Prima di recarsi nella favela, Francesco aveva incontrato nel Palácio da Cidade di Rio de Janeiro alcuni protagonisti dello sport brasiliano tra cui Neymar e Zico, che gli ha donato la solita maglia (con sponsor e nome) [vedi]. Francesco ha approfittato dell’occasione per lanciare un tweet con l’augurio “che lo sport sia sempre uno strumento di scambio e di crescita; mai di violenza e di odio”. Parole sante verrebbe da dire … Il 28 luglio, sulla spiaggia di Copacabana, di fronte a tre milioni di giovani ha ribadito: “Cari giovani, siate veri ‘atleti di Cristo’! Giocate nella sua squadra!”.

L’ultrà calcio


Inizio stagione calcistica italiana 2013/2014

Purtroppo, ma come era prevedibile, il calcio italiano ha cominciato la nuova stagione là dove aveva lasciato la vecchia: prigioniero degli ultras che lo stanno assassinando. Quasi tutti avranno dimenticato i cori razzisti degli ultras della Roma a San Siro contro Balotelli, l’agguato degli ultras della Fiorentina ai giocatori del Milan nella stazione di Firenze, le violenze degli ultras del Lecce dopo la partita di playoff contro il Carpi. Quasi tutti non si saranno accorti delle dimissioni date dal vice allenatore del Brescia, Fabio Gallo, non gradito dagli ultras del Brescia per una dichiarazione di 18 anni fa, delle aggressioni verbali degli ultras della Roma a Osvaldo, etc. Passata la mezzanotte del 23 luglio 2013, a Sassuolo, gli ultras locali hanno rivolto i consueti cori razzisti contro il giocatore del Milan Constant, mentre solo un’oretta prima gli ultras della Juve avevano intonato il consueto coretto sui saltelli, la morte e Balotelli [vedi].

Il calcio italiano è ormai quotidianamente immerso nella cultura ultrà a tal punto da non accorgersene nemmeno più. In Europa sta forse peggio solo il calcio bulgaro, e abbiamo superato le violenze di quello turco (ma con una differenza non da poco: i turchi hanno stadi moderni che noi non possiamo più permetterci). La china italiana è quella verso il calcio ultrà argentino, dove ormai una partita su due si tiene a porte chiuse o in date posticipate e il conteggio dei morti è bollettino settimanale. Fiumi di inchiostro sociologico sono stati versati per analizzare il fenomeno, le sue cause e le soluzioni possibili. Qui solo rimarchiamo ancora una volta il deficit del calcio italiano: l’inadeguatezza culturale dei suoi protagonisti. Sono i dirigenti ultras, i giornalisti ultras, i giocatori ultras e i tifosi ultras a legittimare gli ultras nelle violenze e nelle intimidazioni che stanno avvolgendo il sistema nelle spire di una quotidiana metastasi. È un ultrà calcio che la tradizione pallonara del nostro paese non si merita.

Chi è l’uomo di fango?


Luigi Garlando, Miccoli torni all’albero di Falcone. Si inginocchi e chieda perdono, "La Gazzetta dello sport", 23 giugno 2013.

Fabrizio Miccoli: «Chiedo scusa a Palermo e alla famiglia Falcone, non sono un mafioso», "Corriere della sera", 27 giugno 2013.

Corleone revoca la cittadinanza a Miccoli. L’ex capitano del Palermo era stato a suo tempo indicato come un esempio per i ragazzi di Corleone, "Corriere della sera", 1° luglio 2013.

Cartellino rosso


30 giugno 2013, Il Cairo

Quando la vita è una metafora del calcio (e potere): i manifestanti contro il Presidente egiziano Mohammed Morsi hanno adottato un inequivocabile cartellino rosso come simbolo delle loro rivendicazioni [leggi quali].

La testa del nemico


30 giugno 2013, Município de Pio XII, Maranhão (Brasile)

Se la notizia non verrà smentita - a darla è “Globoesporte” [leggi] e a riprenderla tra i primi in Italia è stato il “Corriere della sera” [leggi] -, non si ricorda, a memoria, un caso del genere: la decapitazione di un arbitro sul campo di gioco.

I fatti in breve: domenica scorsa, 30 giugno 2013 - lo stesso giorno di Brasile-Spagna, finale di Confederations Cup al “Maracanã”-, durante una partita tra dilettanti nello stato brasiliano di Maranhão, nel nord del paese, l’arbitro ha espulso un giocatore. Alle proteste di questi, il direttore di gara - il ventenne Otavio Jordão da Silva de Catanhede - ha estratto un coltello ferendolo mortalmente con due fendenti. Gli spettatori hanno invaso il campo e raggiunto Catanhede: legato a un palo, lo hanno poi lapidato, squartato e decapitato. La testa è stata esposta su un palo. La polizia ha identificato i responsabili grazie alle immagini registrate con i cellulari dai presenti, che hanno immortalato il rituale.

Perché di rituale si è trattato. Non di una violenza assurda, per quanto orribile possa apparire (ed è), ma di una violenza che segue una logica macabra, come spiega una vastissima letteratura antropologica e storica. Non si è trattato di un semplice omicidio, ma di qualcosa di più: dell’annichilimento del nemico. Come ha mostrato Paul H. Stahl (nella sua Histoire de la décapitation, Paris, PUF, 1986) la caccia alle teste, e la loro esibizione, è una pratica diffusa in tutte le società umane: la testa, per esempio, in quelle indoeuropee, era (ed è) ritenuta il ricettacolo dell’anima e della personalità. Separarla dal corpo rappresenta - a un tempo - un segno di umanità (perché segna la fine della mortalità) e di inumanità (perché subentra il soprannaturale). La stessa mitologia classica è ricchissima di decapitazioni, dalla Medusa uccisa da Perseo a Oloferne da Giuditta (come nel capolavoro di Artemisia Gentileschi). Tuttora in alcuni paesi arabi la decapitazione è adottata come pena di morte. E non infrequentemente le guerre asiatiche ci rimandano immagini di decapitazioni di ostaggi e di nemici.

L’arbitro come nemico della comunità, dunque. Semplicemente. Orribilmente. Ma non stranamente: il calcio non è solo un gioco, come ha insegnato, ormai sono 32 anni fa, il troppo spesso dimenticato Desmond Morris in The soccer tribe [vedi].

Catechismo bavarese


26 giugno 2013, Allianz Arena, München

Don Pep comincia ad amministrare la cura d’anime alle sue pecorelle

Processi sportivi


17 giugno 2013, tribunali e carceri europei

Il tribunale di Lelystad ha inflitto ieri il massimo della pena ai calciatori minorenni dell’Amsterdam Nieuw Sloten che il 3 dicembre 2012 avevano ucciso a calci su un campo giovanile, ad Almere, un guardalinee, Richard Nieuwenhuizen di 41 anni [vedi]. I nomi propri dei condannati - insieme a loro anche un genitore, tale El-Hasan D. (6 anni di carcere) - denunciano il dramma della difficile convivenza etnica e il fallimento dell’illusione multiculturalista olandese: Fady, Ibrahim, Othman, Soufyan e Mohamed (24 mesi di reclusione, di cui 6 di condizionale). La motivazione: “hanno dimostrato una violenza inaudita verso Nieuwenhuizen, come se stessero prendendo a calci un pallone, colpendo alla testa e al collo l’uomo” [vedi]. Gli avvocati difensori eccepiscono: “i giudici non hanno fatto distinzione fra chi ha scalciato l’uomo a una gamba o alla testa”. Testuale, appunto.

Dalla stampa inglese apprendiamo invece che nelle carceri britanniche sono attualmente detenuti circa 150 calciatori, soprattutto delle serie inferiori “rimasti senza contratto, vittime di depressione, alcolismo, bancarotta”, che “si macchiano di reati di droga” [cronaca - approfondimenti]. Dietro le sbarre sono finiti anche Gerrard, Wise, King e, da ultimo Joey Barton (77 giorni nel 2008 per il pestaggio di un ragazzo di “colore”).

Dalla Francia la nota più lieve, e un po’ cochon: oggi a Parigi si apre il processo a Karim Benzema e a Franck Ribery per accertare se sapessero che l’ex prostituta Zahia - ora affermata “stilista” (linea ovviamente lingerie [nella foto]) - era minorenne quando fungevano da suoi “utilizzatori finali” (per dirla con i termini di un noto avvocato padovano italiano) [ici]. Rischiano fino a tre anni di reclusione e 45mila euro di multa. Teoricamente.

Nulla d’altro essendo da aggiungere (per oggi), la seduta è tolta.

Centenario


16 giugno 2013, Estádio Jornalista Mário Filho, “Maracanã”, Rio de Janeiro

Andrea Pirlo raggiunge oggi - non per caso (ma per voler di Eupalla) in uno dei santuari del calcio - le cento presenze in Nazionale. In realtà le maglie azzurre, con quella di oggi, sono già 176, a cominciare dall’esordio in Nazionale Under 15 il 12 febbraio 1994 contro la Spagna [vedi].

In Nazionale A, Pirlo ha debuttato a 23 anni il 7 settembre 2002 contro l’Azerbaidjan, sostituendo al 77° Pippo Inzaghi: a lanciarlo fu Giovanni Trapattoni [vedi]. Titolare già nella partita successiva al San Paolo di Napoli, il 12 ottobre 2002, contro la Serbia Montenegro [vedi]. Entrambe valide per le qualificazioni agli Europei 2004.

Campione epocale, senza tema di smentita, ha vestito le maglie delle tre maggiori squadre italiane. Campione del mondo nel 2006, vice campione europeo nel 2012, bronzo olimpico nel 2004, campione europeo Under 21 nel 2000 (col trofeo nella foto). 2 Champions League, 1 Coppa del mondo per club, 2 Supercoppe UEFA, 4 Scudetti, 1 Coppa Italia, 2 Supercoppe italiane, 1 Campionato di Serie B, 1 Torneo di Viareggio. Miglior giocatore dell’Europeo Under-21 nel 2000, Miglior giocatore della finale del Mondiale 2006. E innumerevoli altri premi e trofei

Impuniti


15 giugno 2013, Estadio Nacional “Mané Garrincha” di Brasilia

La foto - se analizzata barthianamente - dice molto, se non tutto, del clima affaristico e commerciale, e squallidamente provinciale, con cui si è aperta a Brasilia la Confederations Cup 2013. Contornati da personaggi imbarazzanti, il presidente della FIFA, Sepp Blatter, e la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, si sono affacciati al balconcino della tribuna autorità dello Stadio Nazionale brasiliano per i discorsi inaugurali.

Il primo se lo era preparato sui risvolti dei cartoncini della manifestazione, la seconda prevedeva di andare a braccio. Se la sono cavata in 90 secondi, sotto un diluvio, sacrosanto, di fischi.

Fuori dallo stadio, intanto, la polizia sparava lacrimogeni e pallottole di gomma su alcune centinaia di manifestanti che contestavano i costi ambientali, sociali ed economici dei faraonici progetti sportivi e infrastrutturali che il Brasile ha avviato per celebrare la Conf Cup 2013, i Mondiali 2014 e le Olimpiadi nel 2016. Una torta gigantesca. Per i soliti noti. 

37 feriti il bilancio della repressione, prima della “festa”. Assordante il silenzio dei grandi media italiani (ad eccezione del CdS). Noi però mettiamo in archivio.

Il video | La contestazione | La manifestazione: 01 - 02

Dalla fine del mondo



10 giugno 2013, Estadio Único, La Plata

Dalla fine del mondo non vengono solo papa Francesco e il suo messaggio di speranza e carità, ma anche, purtroppo, la sensazione di un endemico e inestirpabile stato di violenza che permea il calcio argentino.

Nell’ultima giornata della Primera División si sono avuti gli atti vandalici dei tifosi dell’Independiente allo stadio Monumental, che hanno costretto l’arbitro a sospendere la sfida contro il River per alcuni minuti. Poi gli incidenti allo stadio Amalfitani tra i tifosi dell’All Boys e la polizia, con l’arbitro obbligato a chiudere la partita contro il Velez dopo appena 26 minuti di gioco. E infine il morto. 

Nel tunnel d’accesso allo stadio Unico di La Plata, poco prima dell’inizio di Estudiantes - Lanus è esploso un violento scontro tra la polizia e gli ultras del Lanus che avrebbero tentato di entrare nell’impianto senza possedere il biglietto. Il 42enne (mica un ragazzo) Santiago Daniel Jerez è morto perché raggiunto al petto da un proiettile di gomma sparato dalla polizia [leggi | vedi].

Ordinaria follia? No. Ordinaria violenza. La “Asociación civil por un futbol sin violencia ni corrupción: Salvemos al Futbol” [vedi], fondata nel 2006, ha accertato 272 morti dal 1922 a oggi, di cui oltre 60 nell’ultimo decennio.

Non sappiamo se lo sia, ma certo il calcio argentino sembra quello più afflitto dalla violenza. Attualmente, in Europa, lo sono un po’ tutti i campionati: nella quotidiana indifferenza dei media occidentali, le partite di quelli dei paesi dell’Est - con epicentro in quello bulgaro -, coltivano un clima impressionante. Anche Turchia e Italia, come sappiamo, sono pentole a pressione. Ma non è che sui Campi elisi o in Olanda, e nella stessa Wembley, le cose vadano poi tanto meglio [vedi].

Le condanne sono arrivate, le pene sono quelle che sono


5 giugno 2013, Busto Arsizio

I fatti sono noti [vedi]: 3 gennaio 2013, Stadio Carlo Speroni di Busto Arsizio. Kevin-Prince Boateng ha ricordato al processo contro i responsabili: “Ogni volta che toccavo palla sentivo cori indirizzati nei miei confronti, dei buh buh che ricordano i versi degli animali”. 

Processo per direttissima (5 mesi per arrivare alla sentenza di primo grado). Sei imputati, tutti ritenuti colpevoli: di due sono noti anche i nomi, Davide Bolchi e Riccardo Grittini, assessore del Comune di Corbetta. Il pm di Busto Arsizio, Mirko Monti, aveva chiesto una condanna a quattro mesi di reclusione per Bolchi e sei mesi per gli altri tifosi. 

I giudici hanno concesso invece tutte le attenuanti possibili, condannando cinque imputati a due mesi di reclusione per ingiurie aggravate dalla matrice razziale degli insulti. Appena 40 giorni di condanna, invece, per Bolchi che a differenza degli altri si è sempre presentato alle udienze. Tutti gli imputati sono stati condannati a risarcire 5mila euro alle parti civili (Lega Pro e comune di Busto Arsizio). E’ immaginabile che in appello gli sconti di pena saranno ancora più sostanziosi.

Pochi giorni fa la FIFA aveva annunciato un inasprimento delle sanzioni sportive [vedi]. Staremo a vedere.

Un punto è certo. Se Boateng non avesse abbandonato il campo non ci sarebbe stata questa prima presa di coscienza di un fenomeno che è accertatamente criminale a questo punto, oltre che culturale.

La festa del Maracanã


2 giugno 2013, Estádio Jornalista Mário Filho, “Maracanã”, Rio de Janeiro

Certo, rimpiangiamo tutti la perdita del vecchio impianto, quello colossale che raggiunse anche i 200.000 spettatori, con la Geral … [vedi]. Ma va detto che - per una volta - la ricostruzione in situ (che pure è stata avversata dai comitati ecologisti [vedi]) è stata rispettosa della memoria dello stadio. L’anello è sempre quello [vedi], la linea la medesima, la vastità anche. Se vogliamo, il nuovo impianto è ancora più arioso e colorato del precedente: accoglie tutta la brezza marina e la tavolozza dell’ambiente che lo circonda [vedi]. Certo, l’anima antica è uno spettro, ma qualcosa permane nel nuovo impianto. Che a noi pare bellissimo (nelle immagini, ovviamente, e non de visu).

Una piacevole amichevole tra la Seleção e i vecchi Three Lions ha celebrato la festa, di cui qui ripercorriamo in una selezione di immagini più il contesto che la partita. Bellissimi però i colori in campo: il verde, il giallo, il blu e il rosso ‘66 con cui i Leoni hanno deciso di onorare la cerimonia: persino il pallone è meno pop del solito, e tende (in TV) ad assomigliare a quelle belle sfere arancioni del calcio inglese (e da Subbuteo) degli anni 1960s e 1970s.

Una bella festa sotto il cielo di Eupalla. Che va ricordata, tra tante pagine tristi del calcio attuale.

Galleria | Altre gallerie di immagini: Guardian | Dailymail

Adiós José


1 giugno 2013, Estadio Santiago Bernabeu, Madrid

JM si congeda da Madrid tra gli applausi degli ultras della Sur e i fischi dei tifosi. Il bilancio è quello che è: un “fracaso” per quasi tutti. Per lui no, ovviamente. Ma i segni si vedono: appesantito e con ginecomastia incipiente. Modello Rafa?

Non è oggi, ma è come se lo fosse: per sempre


29 maggio 1985, Stade du Heysel, Bruxelles

Qui ricordiamo
le 39 vittime di Bruxelles
il 29 - 5 - 1985 trucidate
da brutale violenza.
Quando onore, lealtà, rispetto
cedono alla follia,
è tradita
ogni disciplina sportiva.
Alla nostra memoria
il compito
di tenerla viva


(Giovanni Arpino)

La danza che riscatta una carriera


25 maggio 2013, Wembley Stadium, Londra

Arjen Robben segna il gol della vittoria del Bayern contro il Borussia. Soprattutto, segna il gol della sua vita da giocatore, finalmente decisivo dopo tanti errori. Lo avevamo sbertucciato anche noi dopo la sfortunata finale del 2012 [vedi]. Oggi siamo felici del suo meritato riscatto.

Il Gallo e il Grifone


23 maggio 2013, Genova

Le identità: cappello e sigaro, Bibbia e Costituzione, e il Grifone

Don Andrea Gallo | Il saluto del Genoa CFC | I Rossoblu

Ma il n° 1 chi è?


Città del Vaticano, 21 maggio 2013

News.va

Continuità e trasformazioni


21 maggio 2013

La foto è stata elaborata da Dosy Sod e premiata da The Guardian

Il saluto del Mancio


"Manchester Evening News", 18 maggio 2013

Ciuffo, sciarpa e trofei: elegante come quando giocava

Basta, voglio giocare!


Las Palmas de Gran Canaria, 14 maggio 2013

Il nostro piccolo eroe si chiama Alejandro Rodríguez Macías e ha cinque anni. Vuole solo giocare a calcio e divertirsi. Nonostante la stupidità di due adulti che litigano (un allenatore e un arbitro).

Ultra globale


Parigi-Mondo, 13 maggio 2013

Commentando i vergognosi cori razzisti degli ultras della Roma allo stadio di San Siro contro Mario Balotelli e Kevin Boateng - che hanno portato alla sospensione, sia pure simbolica, di Milan-Roma del 12 maggio 2013 [leggi] -, Arrigo Sacchi ha usato in televisione le stesse parole che aveva già adoperato il 2 settembre 2011 in un’intervista al Corriere della Sera: “I nostri stadi sono carceri a cielo aperto, sono la fotografia dell'Italia e del suo calcio. Oggi gli incivili si trovano bene allo stadio” [leggi]. Parole semplici e fondate: il calo costante, da anni, di presenze negli stadi del nostro paese si spiega anche, se non soprattutto, per questi motivi (meno pregnante è invece l’argomento della loro “scomodità”, perché gli stessi impianti erano invece pienissimi negli anni 1980s e 1990s). Basti pensare all’episodio più recente, prima degli ululati di San Siro: la guerra dei razzi tra gli ultras atalantini e juventini che ha determinato la sospensione di Atalanta-Juventus allo Stadio Atleti Azzurri d’Italia l’8 maggio 2013 [vedi].

Il problema sono i delinquenti che hanno trovato nell’identità della militanza calcistica una nuova dimensione. Sulla materia esiste ormai una ridondante letteratura. A noi basti qui ricordare l’analisi antropologica che ne diede Desmond Morris agli albori del fenomeno, quando descrisse le “tribù” del calcio [leggi], perché mise a nudo l’inestricabile nesso tra calcio e violenza. Forse alcuni se le sono dimenticate, ma le immagini degli ultras dello Zenit San Pietroburgo che festeggiarono il 28 aprile 2012 lo scudetto russo distruggendo lo Stadio Petrovskij [vedi], dicono tutto, senza la necessità di ulteriori commenti.

Senza tornare sulle stragi egiziane [vedi 01-02], sulle violenze ormai endemiche del futbol argentino, avvitato in una spirale senza fine [vedi], sui pestaggi della polizia brasiliana [vedi], non si può dimenticare come il 3 dicembre 2012, su un campo giovanile, ad Almere, vicino ad Amsterdam, tre giocatori di 15-16 anni abbiano ucciso a calci un guardalinee [vedi], o come il 21 febbraio scorso durante la partita di Copa Libertadores tra San José e Corinthians allo stadio Jesús Bermúdez di Oruro in Bolívia, sia stato ucciso un ragazzo di 14 anni, colpito all’occhio destro da un bengala lanciato dagli ultras brasiliani [vedi]. Di questi giorni è la notizia che la polizia italiana ha identificato e arrestato alcuni dei responsabili che il 1° dicembre 2012 parteciparono al pestaggio di un malcapitato (in senso etimologico) tifoso (non un ultra) della Juventus, riducendolo in fin di vita [vedi]. Abbiamo anche visto riaffacciarsi l’hooliganismo a Wembley il 13 aprile 2013 [vedi]), e la stessa Bundesliga - agli allori mediatici di queste settimane - convive con la violenza strisciante [vedi 01-02].

A Parigi, la nuova proprietà quatariota del PSG ha adottato la linea inglese (post thatcheriana [vedi]) di tagliare i ponti con gli ultras, abolendo tutte le rendite di posizione che si erano incrostate per anni, ed alzando i prezzi dei biglietti di accesso allo stadio. Il risultato è stato l’allontanamento delle frange delinquenziali dal Parc de Princes, ma certo non la loro scomparsa. La guerriglia di lunedì 13 maggio 2013 - di cui erano state fatte le prove generali il 5 novembre 2012 la sera prima della partita di Champions League tra PSG e Dinamo Zagabria [vedi] - che ha messo a ferro e fuoco una vasta area della Parigi commerciale e touristica - con oltre 30 feriti e 20 arresti (la foto ne descrive bene il clima) - è la conferma che il fenomeno non ha frontiere. Soprattutto, che tende a fondersi con le trasformazioni sociali che la crisi economica e politica dell’Occidente globalizzato sta ridefinendo in termini nuovi [si legga la ricca analisi di “So Foot”].

Siamo ormai all’ultra globale dell’Ultracalcio [vedi]. E’ bene prenderne coscienza, perché la pratica agonistica non potrà non risentirne a lungo andare.

L’omaggio della Sir Alex Ferguson Stand


12 maggio 2013, Old Trafford, Manchester

Ardue metafore


Italia, 11 maggio 2013

Come è noto, è molto diffuso l’aforisma - con coniazione attribuita a un intellettuale da bar, sigarette e alcolici (ergo esistenzialista) come Jean-Paul Sartre - che vuole il calcio come “metafora della vita” [vedi]. In realtà è sempre più evidente il contrario, come rilevò anni fa con sprezzo un altro intellettuale come Sergio Givone [vedi]: è la vita ad essere metafora del calcio.

Se guardiamo al linguaggio politico italiano ne troviamo ogni giorno conferma. Da ultimo il presidente del consiglio, Enrico Letta, che porta in convento la sua “squadra” di ministri per “fare spogliatoio” (litigioso e già diviso alla prima di campionato). 

Il meglio (eufemismo) però lo sta dando un partito allo sbando come il PD che per descrivere le sue anime diverse (e divise) si rifà al calcio inglese. Aveva dapprima cominciato Matteo Renzi sostenendo che il 2013 passerà alla storia “per i due papi in Vaticano e per la ‘rottamazione’ di Alex Ferguson dal Manchester United” e aggiungendo: "Il governo o lo subiamo o lo sosteniamo con le nostre idee. Se lo subiamo regaliamo un altro calcio di rigore a Berlusconi” [leggi]. Enrico Letta gli ha contrapposto la metafora (che si suppone più laburista [ma vedi qui in calce]) del Liverpool. Rivolgendosi al neo segretario del PD, Guglielmo Epifani, Letta ha affermato: “Visto che Renzi ha citato il Manchester United io citerò il Liverpool con il suo slogan ‘You’ll never walk alone’” [leggi e ascolta].

A ben vedere, il PD è la metafora dell’Inter: senza progetto, dilaniato dalle fazioni, con i militanti abbandonati a se stessi, la presupponenza dei dirigenti, le sconfitte una dietro l’altra come unica prospettiva, l’angoscia del risultato, i giovani turchi …

Il primo che ebbe chiara la visione di come la vita politica fosse una grande metafora calcistica - una variante schmittiana (amici contro nemici), se vogliamo nobilitarla insieme col Filosofo di Setubal [vedi] - fu Silvio Berlusconi con la sua “scesa in campo” (equivocata dal babbo di Roberto Benigni, abituato dall’infanzia contadina a non avere in casa la toilette) al grido di “Forza Italia!”. Non è un caso che ai playoff 2013 ha rivinto lui. Nello stupore solo dei Nesci. Altro che football inglese …

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Sul presunto “laburismo” del Liverpool e di You‘ll never walk alone [leggi] un “controcanto sociale”, informato e puntuto: Liverpool “fu anche il luogo dove per la prima volta nella storia dell’Inghilterra la polizia usò i gas lacrimogeni contro i civili, nel 1981, quando i portuali protestavano per la crisi dovuta all’uso dei container che produsse moltissima disoccupazione. Fu lì che nacquero gli skinhead, che trovarono in quella canzone, in quelle parole, il cemento identitario per riunirsi, protestare, vivere insieme, ubriacarsi e andare allo stadio. Gli skinhead, come è noto, erano lavoratori delle fabbriche o del porto che avevano i capelli rasati per via dei pidocchi, mettevano gli anfibi come scarpe antinfortuni e indossavano i jeans attillati affinché non si impigliassero nei macchinari a trascinamento. Tra gli hooligans c’erano moltissimi skin, sopratutto in quel ventennio 70/80 quando la disoccupazione creò masse di sottoproletari emarginati urbani che traevano la loro unica consolazione nel bere, nell’andare allo stadio e soprattutto nel cantare insieme, per non sentirsi mai più soli. Insomma, You‘ll never walk alone non è uno slogan come I have a dream o come Yes, we can, perché trae le sue radici se non dalla disperazione certamente dall’emarginazione e dalla voglia di fare parte di un gruppo ristretto quanto reietto. Con una speranza: che non camminerai mai più solo perché noi siamo con te”.

I 12 “por qué”


8 maggio 2013, Stadio Giuseppe Meazza, Milano

Massimo Moratti ha commentato signorilmente la manifestazione della Curva Nord nerazzurra prima della partita con la Lazio (1:3): "Contestazione civile, li capisco. L’avrei fatto anche io. Ma certe risposte non so come darle. Per il resto anch’io penso la stessa cosa, dobbiamo avere più forza dal punto di vista societario". 

Questi gli interrogativi (si noti l’uso del Lei):
1) Secondo lei perché tutto lo stadio ha applaudito i recenti striscioni della Curva riguardanti la società?
2) Perché sono stati messi in discussione gli stessi medici con cui abbiamo vinto il Triplete?
3) Perché il progetto di svecchiare la squadra comporta la vendita dei giovani già presenti in rosa o provenienti dalla nostra Primavera?
4) Che senso ha svendere sempre i nostri giocatori?
5) 2010-2013. Dal tetto del mondo si è crollati alla situazione attuale. A fronte dell’esempio di altri club europei crede che la causa sia tutta da attribuire ai giocatori e allenatori di questo periodo?
6) Come mai la società è sempre passiva di fronte a ogni attacco mediatico?
7) All’Inter c’è sempre un colpevole da mettere in piazza e una fuga di notizie mai vista in altri club. Non sarebbe opportuno avere nella dirigenza un “uomo forte” capace di trasmettere il senso di appartenenza, gestire tutte le situazioni societarie e “mettere” la faccia” a difesa della società?
8) Perché non è mai stato spiegato il reale motivo dell’allontanamento di Oriali dalla Dirigenza?
9) Perché si dice che la società Inter sia come una grande famiglia quando la realtà è l’esatto opposto? Non si è accorto che tutti pensano a se stessi e alla propria poltrona?
10) Come si fa a permettere che la seconda maglia dell’Internazionale sia rossa se si è interisti?
11) Si diceva che il suo sogno era la Champions come suo padre… ora si dice che l’altro suo desiderio sia lo stadio nuovo… Va bene, ma l’Inter?
12) Perché chi va via dall’Inter parla sempre bene di Lei… ma male dell’Inter?

Evviva la Curva, quando si esprime in questo modo (e si sobbarca costi ingenti per farlo: 600 metri di stoffa e colori, 30.000 volantini …)! Niente violenze, ma l’incisività delle parole scritte, e non gridate in slogan squadristici.

Sono tutti interrogativi fondati, su questioni su cui anche Eupallog ha posto l’attenzione sin dalla fine dell’estate scorsa, all’inizio di questa sconcertante stagione: la perniciosa sopravvalutazione del Triplete [vedi], la sottovalutazione della necessità di un ricambio tempestivo e corposo dell’organico [vedi], l’incerta direzione tecnica [vedi], l’inutilità di fare di Stramaccioni il capro espiatorio in assenza di un progetto [vedi].

Eppure, tutto era profilato sin dal 1° settembre 2010, al termine della campagna acquisti e cessioni successiva al Triplete: Benitez, che aveva chiara in mente la necessità di rinnovare ampiamente un organico spremuto, aveva suggerito l’acquisto di Mascherano, Kuyt, Evra e Jovetic, ed ebbe Biabiany, Coutinho, Obi, Castellazzi e ceduto Balotelli. Risultato: il 26 settembre successivo l’Inter fu per l’ultima volta (a tutt’oggi) capolista …

E diciamolo subito: le voci di questa primavera 2013 sulle partnership finanziarie, quelle sulle ristrutturazioni dell’assetto societario, la conferma della vecchia e logora guardia (si rischia di ripartire nella “nuova” stagione ancora una volta da Cambiasso e Zanetti …), e i nomi dei giocatori che sarebbero già stati acquistati, non lasciano sperare in un’inversione strutturale di rotta. La patologia invalidante sembra continuare a fare il suo corso.

Giulio Andreotti


Roma, 14 gennaio 1919 - 6 maggio 2013

Uomo di grande intelligenza e non comune umorismo, è stato tra i principali protagonisti dell’Italia del Novecento. La sua biografia, in alcuni episodi anche controversa, appartiene ormai alla storia [Treccani]. E’ stato anche un grande appassionato di sport e di calcio, tifoso della Roma. Eupallog lo ricorda con il sorriso suscitato dalle sue famose battute.

Giulio Andreotti nasce a Roma nel 1919, lo stesso anno del fascismo e del Ppi di Don Sturzo: “Di tutti e tre sono rimasto solo io”.

Giallorosso dall’età di otto anni, ma “solo perché fino a quel momento la Roma non c’era ancora”.

“Nel calcio ho fatto una lunga carriera, non come giocatore, perché ero una schiappa, ma come tifoso. Dagli alberi al campo di Testaccio, sono finito alla tribuna d’onore”.

Il ricordo del vecchio campo Testaccio: “Di soldi a quei tempi ce n’erano pochi, ma le due lire per il posto dietro la porta le trovavo sempre. Si stava attaccati al campo, si viveva la partita come un sogno. Erano momenti di gioia intensa, i giocatori già allora erano idoli”. 

"Quando c’era educazione fisica a scuola mi allontanavo".

“Sono un tifoso, non sono né profeta, né uno che si mette in cattedra a dare lezioni a nessuno”.

"Ebbi solo un ruolo nel reingaggio di Falcao: quando chiamai la madre del giocatore e potei dirle, senza mentire, che anche il Papa aspettava suo figlio. In realtà, ricevendo la Roma, il Papa aveva domandato: ‘Ma Falcao rimane?’. Quindi non era del tutto una bugia, e la signora era stata contenta".

A un giornalista che faceva domande indiscrete sulla sua fede calcistica rispose così: “Lei mi chiede della Roma e io le dico che il finale è già scritto: ai tramonti seguono sempre le albe”. 

“Da parte mia c’è sempre stata una grande ammirazione per la famiglia Sensi, sono stati oltre che tifosi sempre sovvenzionatori dell’attività della squadra giallorossa. Loro tirano fuori i soldi, noi fischiamo o siamo felici per i risultati sportivi ma non spendiamo una lira”.

“Riguardo a Zeman non mi sembra carino continuare a chiamarlo “il boemo”. Evoca il ricordo della poesia del Giusti su Sant’Ambrogio con i soldati boemi e croati messi qui nella vigna a far da pali. Poco più avanti gli stessi militi sono chiamati: schiavi per tenerci schiavi. Di Zeman mister mi colpisce la teoria che non ha importanza il risultato, ma il giuoco. E’ la leggenda del barone De Coubertin secondo cui quel che conta è il partecipare. Sarà …”.

"Adesso spero solo che per il quarto scudetto non ci siano da aspettare tanti anni, perché non ho tantissimo tempo …": dopo la vittoria dello scudetto nel 2001.

Riconosceva ai laziali “solo i diritti umani”. Ma ebbe un figlio tifoso della Lazio. La prese con cristiana rassegnazione.

"Una volta tanto in vita mia sono contento che la Lazio abbia vinto una partita": dopo Lazio-Juventus del marzo 2001.

"Amo talmente la Germania che ne vorrei due".

Finale di Coppa dei campioni 1983 tra Amburgo e Juventus. Per chi farà il tifo? “Mi asterrò”.

"La Juventus era meglio in serie C. Ma anche in B, per un vecchio tifoso come me, è un po’ come la Rivoluzione francese": dopo la sentenza d’appello su Calciopoli nel 2006.

La sera in cui Byron Moreno mandò a casa Totti e l’Italia ai Mondiali 2002, si augurò “una finale Senegal-Corea contro il calcio dei ricchi”.

"Allenare davanti alla televisione è facile: io invece ho molto rispetto di chi gioca o fa il tecnico, perché le cose dal salotto o dalla tribuna appaiono più semplici di ciò che sono”: a commento delle dimissioni di Dino Zoff, dopo gli Europei del 2000, per le critiche ricevute dal presidente del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi.

Quando il medico gli consigliò di fare un po’ di attività fisica, lui rispose: “Tutti i miei amici che facevano sport sono morti”. 

"Cosa vorrei sulla mia epigrafe? Data di nascita, data di morte. Punto. Le parole sono epigrafi tutte uguali. A leggerle uno si chiede: ma se sono tutti buoni, dov’è il cimitero dei cattivi?".

Equilibrato profilo sul Guerin sportivo

Nella foto: Giulio Andreotti premia Angelo Domenghini (1972)

L’epidemia crociata


Primavera europea 2013

Sarà l’effetto di un passaggio astrale, o il solito processo di emulazione mediatica. Più probabilmente è il tessuto comune di stupidità, di ignoranza e di impunità che lega a distanza le bande più estremistiche degli ultras.

Fatto sta che nel giro di una settimana sono spuntate sui campi di gioco europei delle croci intimidatorie nei confronti dei giocatori delle squadre di appartenenza dei teppisti, che tacciano i primi di scarso impegno agonistico.

Dapprima quelli del CSKA hanno scavato una fossa e posto una lapide al centro del campo del Balgarska Armiya [leggi]. Poi è stata la volta di quelli del Macva Sabac, che milita nella terza divisione serba [leggi]. Per non farsi mancare nulla, anche gli ultras dell’Ascoli hanno infine decorato notte tempo il campo di allenamento dei loro ex beneamini con 11 croci (una a testa …) [leggi]. Attendiamo la quarta puntata …

La croce rappresenta per i cristiani un simbolo di sofferenza. L’uso sacrilego che ne fanno i teppisti fa leva anche sul perdono misericordioso di cui il cristianesimo è portatore. Immaginiamoci la reazione che verrebbe dai musulmani per un’offesa di portata analoga.

Pettine e rossetto


1° maggio 2013, Camp Nou, Barcellona

Innocenti evasioni


Aprile-maggio 2013

Questo ragazzo biondo - qui colto in una foto dei primi anni 1970s accanto a uno dei più amati pedatori della storia di Eupalla - è stato uno dei campioni della grande Germania di quegli anni. Molti chili fa era un’ala (oggi diremmo un attaccante esterno) di molta corsa e di buona tecnica, capace di terrificanti bordate a rete. Oggi è l’uomo più potente del calcio tedesco (ergo d’Europa), una sorta di Moggi in salsa bavarese. Come Lucianone ha qualche problema con la giustizia anche lui. È sotto inchiesta per evasione fiscale ed esportazione di capitali all’estero (al momento gli sono stati accertati 20 milioni nelle solite banche elvetiche). Il tafazzismo nazionale, nel suo angusto provincialismo, crede sia una specialità italica: in realtà è una pratica diffusa ovunque.

Hoeness ha appena pagato una cauzione di 6 milioni (una bazzecola: il decotto Milito, al lordo, continua a mungere di più annualmente al povero Moratti) per provare a scampare la galera preventiva. Pare che Frau Merkel si sia irritata un poco per il danno di immagine al moralismo tedesco. E così sono partiti i fumogeni per i media: prima l’acquisto di Goetze, poi quello di Lewandoski, a ore è atteso l’annuncio di Hummels. Ma il dato più scontato è la conferma che il bostik teutonico è effettivamente il migliore: Uli è ben attaccato alla carega di presidente del FC Hollywood e non ha alcuna intenzione di mollarla. D’altra parte, il suo compare Beckenbauer lo ha riciclato nella candeggina: “Uli ha sbagliato, ma non è un imbroglione” (ah, no?) [Leggi qui anche qualche bruscolo di cenere caduto su Rummenigge].

Se la Germania fosse un paese serio, Hoeness si sarebbe già dimesso. Ben altra serietà ha mostrato nelle settimane scorse il ministro delle Finanze francese, Jérôme Cahuzac, alfiere del moralismo del governo socialista che sostiene di combattere la ricchezza dei poveri ricchi come Zlatan: l’omesso dettaglio era che deteneva un bel conto in nero anche lui nei forzieri elvetici. Ma mentre Hoeness è reo confesso, l’algido tecnocrate franzoso ha pure fatto mostra di negare l’evidenza. Mettendo in ginocchio l’etica di una nazione già temprata dai gioielli di Bokassa, dalle tangenti di Chirac, dai finanziamenti illeciti di Sarkozy.

I concives del nord Europa dovrebbero prendere esempio da Equitalia Sud. Tenace, non deflette alle reiterate richieste di Diego Armando di negoziare la sua bella evasione di 40 milioni (a memoria non ricordo a quanto ammontasse quella di Zico …) con il fisco italiano, cioè con i nostri portafogli. Al massimo è disposta a concedere una rateizzazione. La serietà dell’etica partenopea.

Una vera follia


Bitetto, 30 aprile 2013

«Rilevato che sul territorio comunale si manifestano comportamenti che contrastano con la fruibilità del patrimonio civico e di tutto il contesto urbano; visto l’art 16 comma 2 della Legge n. 689/81, così come modificato dall’art 6 della Legge 24/07/2008, n. 125, è vietato: giocare a pallone».

Firmato: Stefano Occhiogrosso, sindaco (Pdl) di Bitetto (provincia di Bari), che conferma l’ordinanza emessa dal predecessore, Giovanni Iacovelli (Pd). L’ennesima conferma della stupidità bipartizan dei nostri amministratori (dire “politici” significherebbe nobilitare la loro intelligenza).

Come ha ben rilevato Mario Sconcerti, “in Italia ormai per giocare a calcio bisogna pagare. Una cosa impensabile per il gioco più naturale che esista. Finita la strada, finiti gli oratori, si può solo andare nelle scuole calcio”.

L’XI della strada, in Italia: 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 (PPP)

Il gran lombardo


Milano, 27 aprile 2013

”La nomina di Cecile Kyenge a ministro per l’Integrazione rappresenta un ulteriore, grande passo in avanti verso una società italiana più civile, più responsabile e più consapevole della necessità di una migliore e definitiva integrazione” [fonte].

Se questo giovane italiano ha davvero ”uno neurone”, come ha detto il salazarista di Setubal, che dire allora di un lumbard come Matteo Salvini, che scrive impavido che il nuovo ministro è il “simbolo di una sinistra buonista e ipocrita, che vorrebbe cancellare il reato di clandestinità e per gli immigrati pensa solo ai diritti e non ai doveri” ? [fonte].

Political Manager


Roma, 27 aprile 2013

Il nuovo presidente del consiglio, Enrico Letta, ama il calcio, è tifoso del Milan e - come molti di noi - continua giocare a Subbuteo con i figli e gli amici, anche da “diversamente giovane”. Dunque è un devoto di Eupalla anche lui, un correligionario.

È una buona premessa, incoraggiante, ma non sufficiente. Il campionato si annuncia molto difficile, pieno di trasferte insidiose. Dovrà battersi per fare i 40 punti il prima possibile, con un’occhio all’Europa League se possibile, e non sarà facile.

Auguri. Anche perché siamo tutti sugli stessi spalti.

Straziami ma di baci saziami


21 aprile 2013, Anfield, Liverpool e Parc des Princes, Paris

Gli incisivi sono quelli di Luis Alberto Suárez Díaz, 26enne delantero del Liverpool FC e della nazionale uruguagia. Tra i tanti record, oltre a essere l’attuale capocannoniere della Premier League, ha collezionato anche 8 giornate di squalifica per avere dato 7 volte (curiosa asimmetria della pena) del “nigger” (pare senza ulteriori specificazioni fecali) a Patrick Evra [CdS], difensore del Manchester United nella partita di Premier del 20 dicembre 2011 [fedine di Suárez: 01-02]. Oggi ha azzannato in una mischia il braccio di Branislav Ivanović, difensore del Chelsea, durante l’ennesima partita di campionato [video]. Che dire? Il soprannome, fino a ieri, era El Pistolero. Da domani vedremo … Godiamoci intanto la reazione di Evra [vedi].

A Parigi qualche ora più tardi, invece, nella partita di Ligue 1 tra PSG e Nice, il difensore argentino dei provenzali Renato Civelli ha deciso di marcare talmente ad uomo il prode Zlatan Ibrahimovic che gli ha affibbiato un bel bacio sul collo [video]. Chissà, magari obnubliato dal look metrosexual dello svedesone dai lunghi capelli e dai chiacchierati passati alla Brockerback Mountain [peep: 01-02-03-04]. Dice, per provocazione. E ci sta: il nostro Zlatan si è infatti incacchiato al punto da segnargli un gol. 

Questo ci è stato dato di vedere sui campi di gioco di alcuni tra i maggiori campionati televisivi del pianeta da parte di alcune stelle del circo. Meglio che le consuete mazzate, è vero: meglio dell’immondo fallo.