27 luglio 2014, giorno di scadenza per la presentazione delle candidature alla presidenza della FIGC
Quasi tutti i presidenti delle società professionistiche sono schierati con l’ex-democristiano, ultra settantenne, già sindaco di ponte Lambro e presidente della Lega Dilettanti, Carlo Tavecchio. Tutto pareva filare liscio, ma il candidato dei potenti è scivolato sulle bucce delle banane che mangiavano certi giocatori prima di diventare titolari in Serie A. Ovvio non si riferisse a Totti, Pirlo e Buffon. Immediato e quasi unanime, si è alzato il coro sdegnato: come può insistere a candidarsi Tavecchio? Come possono i suoi grandi elettori continuare a tenerlo in pista? La sua inadeguatezza è evidente. Infatti questo è il punto. Il problema non è Tavecchio, il problema è chi lo sostiene. I dirigenti dei grandi club, con pochissime eccezioni. I principali responsabili (non gli unici) del declino sportivo, economico e culturale vissuto dal nostro calcio nell’ultimo decennio, in una progressione che non sembra sul punto di arrestarsi. Hanno bruciato Albertini in un amen, reo di essersi messo a disposizione, e di averlo fatto dicendo nel contempo due o tre cose sacrosante, e non mollano Tavecchio, dinosauro immarcescibile, garante di equilibri pregressi e processi di cambiamento molto soft. Ora per loro, e per lui, le cose potrebbero essere più difficili. I politici, in altre faccende affaccendati fino all’altro ieri, hanno reagito; in particolare, ha reagito il cerchio magico di Renzi. La stampa lo attacca. La cosiddetta ‘opinione pubblica’, quella chiamata ad esprimersi attraverso i sondaggi e quella che tambureggia sui social, non lo vuole. Chissà.