Xeneizes


Estate/Inverno 2015

"Quella giornâ a-i 3 d’arvî do 1905, Esteban Baglietto, Alfredo Scarpatti, Santiago Sana e i fræ Teodoro e Juan Antonio Farenga an fæto ‘na cösa no goæi despægia da quello che tanti atri gruppi d’amixi into resto de l’Argentinn-a favan pe apagâ quello fervô verso o balon ch’o s’ea açeizo into pòpolo. An fondòu o seu club...".

Molti avranno riconosciuto la lingua: è genovese. Il club in questione, quello fondato lunedì 3 d'aprile 1905, non è ligure però. È il Boca Juniors. Che in questi giorni ha rinnovato e arricchito il proprio sito web, affiancando alla versione spagnola quelle di tre sole altre lingue. Che non sono né il cinese, né l'arabo, né il giapponese, né l'indonesiano, né il coreano imperanti sulle piattaforme social e multimediali dei superclub planetari. Sono semplicemente l'inglese, l'italiano e il genovés.

In un'epoca dominata dal capitalismo finanziario, dalla globalizzazione culturale e dalla più feroce omologazione consumistica, viene dalla fine del mondo non solo un papa rivoluzionario ma anche una semplice bella notizia come questa. La testimonianza di una memoria viva, che alimenta una passione vera. Che è la loro ma anche la nostra, di quelli cioè che amano il football come storia, come cultura, come elemento fondante dell'esperienza di vita.

Il Boca Juniors ebbe origine a Buenos Aires da giovani di origine italiana - Esteban Baglietto, Alfredo Scarpatti, Santiago Pedro Sana e i fratelli Juan e Teodoro Farenga - nel quartiere della Boca, abitato allora prevalentemente da immigrati genovesi: da qui il soprannome della squadra, Xeneizes. Anche loro pagarono un tributo alla moda del tempo: l'apposizione Juniors, per dare un'impronta british al club. Baglietto era l'unico ligure ma non riuscì a imporre i colori genovesi. Le discussioni tra i fondatori furono risolte da un accordo affidato al caso: adottare i colori della prima nave attraccata al porto quel giorno. Era scandinava, però, non mediterranea. Ma i colori appartengono ormai alla storia del calcio.

Stöia | Nella foto una formazione del Boca nel 1910.

Ultras tra altalene e fortini




Castelrotto (BZ), 23 luglio 2015

Come è ormai buona tradizione, il mese di luglio non è ancora finito, si disputano già le prime amichevoli di preparazione, e anche gli ultras sono entrati in precampionato. Devono allenarsi. Sono fermi e inermi da un paio di mesi, e l'esistenza (si converrà) è triste senza scazzottate, senza titoli sui quotidiani. Senza imprese da raccontare.

Così, a Castelrotto (provincia di Bolzano), si sono dati appuntamento gruppi di idioti che parteggiano vuoi per il Bologna vuoi per lo Spezia, che avevano organizzato una partitella sul campo locale. Hanno pensato bene di rincorrersi e sprangarsi in un parco-giochi, tra fortini e altalene, infischiandosene dei bambini che trascorrevano tranquilli il loro pomeriggio. 

Lasciatevelo dire, cari ultras. Fate ribrezzo. Siete pura immondizia umana. Vi dovrebbero smaltire, come rifiuti tossici.

Video

Il cancro delle scommesse on line







22 luglio 2015 


La notizia di oggi è interessante (per modo di dire). Una vasta operazione coordinata dalla Procura di Reggio Calabria ha portato all'arresto d'un certo numero di malviventi e soprattutto al sequestro di varie società operanti nel settore delle scommesse on line. Parecchi i siti oscurati. In buona sostanza, diverse 'betting-houses', probabilmente autorizzate a operare dall'AAMS o dotate di licenza europea, sono gestite dalla 'ndrangheta e da ogni tipo di mafia. E hanno sede legale solo di rado in Italia.

Ne consegue un corto-circuito criminale che sta rendendo lo sport - il calcio, ma non solo - qualcosa di totalmente diverso da un'attività sportivo-agonistica, preso com'è in una rete sempre più vasta e completa di soggetti attivi nell'orientamento degli esiti di partite d'ogni tipo; le entrate che il fisco si garantisce tollerando queste attività sono nulla, rispetto al danno infinito che si produce alla società, agli sportivi, ai cittadini per bene.

Per avere un'idea di quale sia la situazione, è sufficiente dare un'occhiata a un sito qualsiasi, e verificare la quantità infinita di eventi (anche di livello molto basso) che vengono offerti agli scommettitori. Oltre al calcio (che naturalmente fa più notizia) vi sono decine e decine di match dei circuiti minori del tennis - e indagini di qualche anno fa hanno messo in rilievo come anche in quel settore la corruzione sia ormai prassi quotidiana. Ci sono le freccette (Darts), il campionato filippino di basket, le competizioni giovanili. C'è tutto. Ci si chiede: quanti match vengono giocati 'davvero' e regolarmente, con i contendenti impegnati nello sforzo di superarsi? Quanti match non sono condizionati (condizionandole a loro volta, strategicamente) dalle quote dei bookers e dalle loro oscillazioni? Molto, molto pochi, probabilmente.

Si disse, alcuni anni fa, che la legalizzazione delle scommesse avrebbe estinto o limitato le attività criminali. Com'è evidente, invece, le ha esponenzialmente moltiplicate. E lo sport - tutto lo sport - è investito da questa autentica cancrena. 

365 giorni buttati via ...


3 luglio 2015, FIGB

Nell'agonia del sistema calcio italiano, accogliamo con piacere la notizia (peraltro ancora soggetta a conferma: le dimissioni ora si danno infatti à la Blatter) del "farsi da parte" del presidente della Lega Pro Mario Macalli [fonte], che avevamo invocato esattamente un anno fa [vedi]. 365 giorni buttati via, come era facilmente pronosticabile.

Macalli ha compiuto 78 anni, lavora nel calcio da 53, è presidente della Serie C da 18: sotto la sua presidenza sono fallite decine di squadre e il movimento è ormai completamente distrutto da scandali, scommesse, criminalità organizzata e dissesto finanziario e morale.

Decenza vorrebbe che dessero le dimissioni anche il presidente della FIGC Carlo Tavecchio, quello della Lega Serie A Maurizio Beretta, il pluricondannato Claudio Lotito [elenco], etc., etc. Delle fantomatiche "riforme" (a cominciare da quella della struttura dei campionati) promesse dopo l'invereconda elezione del primo nell'estate 2014 non abbiamo ancora traccia, ovviamente. Non rimane che auspicare il commissariamento totale del calcio italiano.

Il rullo


30 giugno 2015, Champions League, Primo turno di qualificazione

Il calcio globale è un rullo continuo: non è ancora finita la stagione agonistica che già comincia la successiva. Senza considerare la Copa América nell'altro emisfero - nella quale peraltro sono impegnati molti atleti che giocano nei campionati europei e che ancora devono fare le vacanze -, oggi la finale dell'Euro Under 21 tra Svezia e Portogallo conclude la stagione UEFA 2014-2015 proprio nel giorno in cui si avviano la Champions e l'Europa League 2015-2016 con il primo turno di qualificazione tra squadre dove militano "poliziotti, insegnanti, meccanici, falegnami, panettieri", come sottolinea con malcelato orgoglio il sito della danarosissima UEFA.

Tre le partite di CL in programma. Al Victoria Stadium di Gibilterra il Lincoln incontra i campioni di Andorra del FC Santa Coloma. Al Seaview di Belfast i Crusaders si battono contro i campioni estoni del FC Levadia Tallinn. Le reminiscenze più suggestive arrivano invece da Yerevan in Armenia, dove il Pyunik ospita i campioni sammarinesi della Folgore nel venerando stadio sovietico della Dinamo, costruito nel 1935. Oggi si chiama Vazgen Sargsyan anvan Hanrapetakan Marzadasht, vale a dire Stadio repubblicano "Vazgen Sargsyan", il primo ministro assassinato in carica nel 1999.

Viviamo anni di guerra con santuari abbandonati perché bombardati [vedi]: che la nuova stagione cominci in uno stadio dedicato a un eroe militare [vedi], ce lo conferma sinistramente.

C'era un ragazzo che come noi amava il rap e il Real Madrid ...


26 giugno 2015, Sousse

E' forse una foto destinata a entrare nell'immaginario storico collettivo come quella dell'attentato delle due torri dell'11 settembre 2001. Seiffedine Rezgui si allontana a piedi dal teatro della sua Jihād, senza correre, con un'espressione assorta che cela il mistero angoscioso delle ragioni dell'atto che ha appena compiuto. Analogo, per molti versi, a quello di Anders Behring Breivik, di Dylann Storm Roof e di tanti altri individui che hanno compiuto nelle settimane scorse e in anni recenti stragi di esseri umani inermi.

Chi lo conosceva lo ricorda come un appassionato di musica rap e di calcio, dal Real Madrid della "decima" alla nazionale tunisina, eliminata ai quarti di finale della Coppa d'Africa dello scorso gennaio. "Ogni tanto, quando passava di qui per andarci, si fermava a dare due calci al pallone con noi", ha detto un conoscente: "Era anche bravo, ma faceva due passaggi e stop: salutava, e via nella Grande Moschea".

Qui vogliamo ricordare anche Hervé Cornara, il primo uomo a essere decapitato in Europa per motivi religiosi negli ultimi due secoli. Amava il calcio anche lui: era abbonato dell'Olympique Lyonnais.

Viviamo anni difficili, di guerra. Ma non dobbiamo perdere la speranza che anche l'esperanto calcistico possa - al fine - aiutarci a ridare un tassello di senso a quanto appare non averne.

La libertà di giocare a calcio


Debrecen, 17-21 giugno 2015

Come ha scritto Roberto Beccantini, "la Fifa ha 209 chiese affiliate, l’Onu ‘soltanto’ 193". Vero, ma alcune 'chiese', per loro fortuna, non sono affiliate alla Spectre guidata da quell'onest'uomo di Sepp Blatter. Si sono invece associate nella Confederation of Independent Football Associations (CONIFA), che dal 2013 riunisce rappresentative di stati non riconosciuti, minoranze, popoli senza stato, regioni e micronazioni [vedi].

Nel 2014 si è tenuta la prima World Football Cup ad Östersund, in Svezia, alla quale hanno partecipato l'Abcazia, l'Aramea, la Contea di Nizza, il Darfur, l'Isola di Man, il Kurdistan, la Lapponia, il Nagorno Karabakh, l'Occitania, l'Ossezia del Sud, la Padania e il Tamil Eelam. Il torneo è statovinto dalla Contea di Nizza ai rigori sull'Isola di Man.

Si disputa invece in questi giorni la prima European Football Cup, ospitata a Debrecen, in Ungheria, alla quale partecipano sei rappresentative: l'Alta Ungheria (Felvidék), la Contea di Nizza, l'Isola di Man, la Padania, i Rom e la Terra dei Siculi (Székely Land).

Ovviamente i giornali italiani hanno subito inzuppato il biscotto per il confronto che ha messo di fronte la Padania (composta da supposti 'razzisti' e che schiera un lumbard come Enock Barwuah) e i Rom (i supposti 'zingari'). Per la cronaca hanno vinto i padani per 3:2.

Provincialismo dei media italiani a parte, l'iniziativa è seria, importante e meritoria. Il motto della ConIFA è "Freedom to play football". Il suo scopo è "costruire relazioni tra i popoli, le nazioni, le minoranze e le regioni isolate in tutto il mondo attraverso l’amicizia, la cultura e la gioia di giocare a calcio", e "perseguire il fair play e lo sradicamento del razzismo". Altro che il "No to racism" recitato dai top-players della UEFA ... [vedi].

Vedi anche: Gazzetta | Backstage Football
Rassegna italiota: 01-02-03-04

Il sabato del villaggio


Frosinone, 16 maggio 2015

Claudius Lotitus, il 26 gennaio 2015: "Ho detto ad Abodi: Andrea, dobbiamo cambiare. Se me porti su il Carpi... una può salì... se mi porti squadre che non valgono un c... noi fra due o tre anni non ci abbiamo più una lira. Perché io quando a vado a vendere i diritti televisivi - che abbiamo portato a 1,2 miliardi grazie alla mia bravura, sono riuscito a mettere d'accordo Sky e Mediaset, in dieci anni mai nessuno - fra tre anni se ci abbiamo Latina, Frosinone.. chi c... li compra i diritti? Non sanno manco che esiste, Frosinone. Il Carpi... E questi non se lo pongono il problema!".

16 maggio 2015: festeggia l'Italia dei campanili in Serie A. Dopo il Carpi, il Frosinone e magari, dopo i play-off, pure lo Spezia ...

Minacce, guerre e capricci



Futbolandia, 30 marzo 2015

Domani sera, a Torino, ci sarà Italia-Inghilterra. Sino a qualche anno fa, si sarebbe parlato solo della partita, delle sue premesse e delle sue promesse: il confronto tra scuole, la sfida ai 'maestri', il prestigio. D'accordo, il mondo è cambiato. Sappiamo tutto degli inglesi, e il fascino della 'classica' è molto scemato. Sinora, tuttavia, della partita si è parlato poco, pochissimo. Anzi, non se ne è parlato per nulla. L'unica cosa che tutti aspettano di misurare è il volume dei fischi con cui lo Juventus Stadium eventualmente saluterà il ritorno di Antonio Conte.

Sembrava impossibile solo pensarlo. Ma l'isteria che connota il terreno di coltura del nostro calcio (dai media agli ultras, passando per certe dirigenze di club) ci ha portati fin qui; e non ci sono elementi che lascino immaginare un miglioramento del clima. Del resto, come si suol dire, siamo davvero andati in cerca di guai. Eleggendo un presidente federale inviso alla dirigenza del club italiano più importante (e non solo). Nominando, alla guida della nazionale, il tecnico che, fino a poche settimane prima della nomina, era l'allenatore proprio di quella squadra, reso disponibile da un divorzio sul quale si è detto tutto e di tutto. Un divorzio vissuto malamente da entrambe le parti coinvolte, e che ha reciso anche il legame sentimentale tra Conte e (si direbbe) la propria lunga storia alla Juventus.

In questi giorni, colui che aveva "ricostruito l'orgoglio juventino" pare sia stato minacciato di morte sui social da qualche 'esuberante' fan di Nostra Signora. Tant'è vero che è stata allertata la Digos.

Perché tutto questo? Per la surreale vicenda Marchisio. Rottura dei legamenti? Macché, potrebbe giocare già domenica con l'Empoli - ma il furbissimo Allegri eviterà di schierarlo. Naturalmente, non c'è chi non veda come non si possa continuare così, cioè con un club che, a ogni convocazione, trova il pretesto per iniziare (o continuare) la sua guerra al commissario tecnico e alla federazione. Quella contro la Bulgaria era una partita importante, quella di domani sera per fortuna no. E infatti non interessa a nessuno, se non a quelli che devono decidere se fischiare o no, esibire o no i trentadue scudetti e così via: con un approccio 'mentale' che si può definire, a voler essere indulgenti, infantile.

Per il bene della nazionale (e del calcio italiano, già pieno di guai), se questo clima non dovesse rasserenarsi, sarebbe meglio che Conte facesse le valigie e alla svelta. Sarebbe criticato - ma ormai lo è per qualsiasi cosa faccia o non faccia, dica o non dica. E le ombre sul suo passato recente e immediatamente pre-bianconero non si sono mai dissolte. Torni a fare il suo mestiere quotidiano, in qualche squadra di club; evitando così - a coloro che non sono rabbiosamente juventini - la tristezza di dovere, cinque o sei volte l'anno, sopportare i loro fastidiosi capricci.

Quale memoria per Calciopoli?


23 marzo 2015, Corte di Cassazione, Roma

In un libro importante per la storia italiana del Novecento (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza: vedi), l'autore, Claudio Pavone, sottolinea come la nozione di "memoria comune" sia un concetto privo di senso: non c’è niente di più soggettivo della memoria: un ex partigiano e un reduce della Repubblica sociale italiana non potranno mai avere la stessa visione del passato. E' una constatazione solo all'apparenza ovvia, ma assai importante, soprattutto perché proveniente da un ex partigiano: è un'apertura alle ragioni degli altri.

Gli storici possono invece ricostruire una "memoria collettiva", che rimanda a un passato cui nessuno può sottrarsi e che coincide con la storia. Una memoria - attenzione - che rimane "plurale". E che non solo non può farsi memoria "comune" ma nemmeno "condivisa", per il semplice motivo che la memoria è "soggettiva" e pertanto non può essere condivisa. Al più può essere confrontata, ma non condivisa. Ciò che si può cercare di condividere, dunque, non è una memoria, ma una storia.

Il preambolo è necessariamente pedante, e chiediamo venia. Ma ci sembra che nei commenti diffusi - dai bar ai social network, al giornalismo militante - che sono inevitabilmente eruttati dopo la sentenza emessa nella notte tra il 23 e il 24 marzo 2015 della Corte di cassazione sulla lunga vicenda inquirente e processuale di Calciopoli, si mescolino dei piani che restano inesorabilmente distinti. I due schieramenti in conflitto non potranno mai condividere una memoria comune, perché hanno vissuto le vicende collegate a "calciopoli" nell'unico modo a loro possibile: quello soggettivo.

Là dove la dialettica si esprime civilmente - e rari sono i casi - sarà possibile solo e sempre un confronto, ma non una condivisione. E' uno stato delle cose che i molti non schierati non riescono a comprendere fino in fondo, attoniti come spesso appaiono di fronte all'eternità, e al carattere estenuato, del conflitto in atto tra le parti da anni.

Spesso sfugge anche un altro punto. La "memoria collettiva" non può essere ricostruita da chi esprime la propria "soggettività". La ricostruzione della storia, cioè del passato cui nessuno può sottrarsi, spetta a terzi, non necessariamente a storici di professione. Basta infatti rifarsi alle pagine dell'enciclopedia amatoriale Wikipedia per attingere a una ricostruzione storicamente fondata di Calciopoli: gli estensori della pagina in lingua italiana hanno compiuto uno sforzo egregio, ma sono soprattutto quelle in altre lingue che "dimensionano" la vicenda secondo un punto di vista che non solo non è di parte, ma nemmeno immediatamente influenzato dalla vicende nazionali [vedi].

La memoria "collettiva" è lineare: i principali processi penali di "Calciopoli" si sono conclusi in Corte di cassazione certificando il reato di "associazione per delinquere" e "frode sportiva" di Luciano Moggi e di altri personaggi. In ogni grado di giudizio, non solo penale, ma anche sportivo, questa "associazione" è stata riconosciuta colpevole. Nelle affrettate (per necessità) sentenze della giustizia sportiva dell'estate 2006 e nei sette anni del procedimento della giustizia ordinaria si sono via via alleggerite le posizioni dei principali indagati e di molti altri personaggi minori, come avviene in tutte le procedure processuali. Non fosse così, il ruolo degli avvocati sarebbe svuotato di senso: a una richiesta inizialmente esorbitante segue sempre un progressivo alleggerimento delle pene. Gli storici della giustizia indicano questa pratica (politica) col termine "negoziazione della pena".

Anche l'istituto della prescrizione va inquadrato in questo contesto: non equivale a una assoluzione ma all'estinzione del reato in seguito al trascorrere di un determinato periodo di tempo. La ratio della norma è che, a distanza di tempo dal fatto, viene meno sia l'interesse dello Stato a punirne la condotta sia la necessità di un processo di reinserimento sociale del reo. Non significa che il fatto non abbia costituito un reato. Nello specifico di Calciopoli oltre alla prescrizione sancita dalla Corte di cassazione va storicamente ricordata quella disposta dal procuratore della FIGC nell'estate 2011 in relazione alla violazione delle norme di lealtà e di correttezza sportiva da parte di società e tesserati che non erano stati coinvolti nei processi sportivi del 2006.

Questa è la ricostruzione storica. Necessariamente diversa dalla "memoria soggettiva" dei protagonisti e dei rispettivi schieramenti, della quale Eupallog riconosce le ragioni. Senza poterle -necessariamente - "condividere".

Rituali medievali o mafiosi?


Stadio Olimpico di Roma, 19 marzo 2015

Gli studiosi di storia medievale convivono da sempre con il forte pregiudizio negativo che riguarda il lungo periodo di tempo oggetto delle loro indagini. A connotarlo come negativo furono per primi degli intellettuali italiani che tra XV e XVI appiopparono a quella lunga età di mezzo tra la civiltà antica e quella moderna un'immagine negativa di decadenza e di superstizione. Da allora solo in alcuni momenti il medioevo ha coinvolto la passione dei contemporanei: i romantici, con i loro racconti storici ambientati tra i cavalieri; gli artisti e gli architetti neomedievalisti che hanno rinnovato il gusto estetico delle città europee tra Otto e Novecento; per arrivare a Walt Disney e all'attuale passione diffusa per il fantasy.

Nel senso comune rimane invece ben radicata l'immagine negativa del medioevo, che si declina in aggettivazioni deprecative: vandalico, barbarico, baronale, feudale, etc. Non si è sottratto, sulla "Gazzetta dello sport" di ieri [vedi], nemmeno il pur colto Franco Arturi, per bollare come roba da "Medioevo" la gogna cui gli ultrà romanisti hanno costretto i loro, consenzienti, beniamini dopo la figuraccia di coppa contro la Fiorentina, ennesimo anello di una catena sempre più ricca di "ordalie della vergogna". Ora, un purista potrebbe obiettare che l'ordalia tutto era tranne che una "liturgia tribale", e che l'uso della gogna risale, in realtà, all'età romana ed era molto diffuso anche nell'età moderna e nei secoli a noi più recenti. Ma non è questo il punto.

Arturi ha ragione nella sostanza: la sottomissione, per usare un termine in voga in questi giorni, dei giocatori agli ultrà delle curve, è semplicemente "un rituale mafioso", per usare le sue parole. Appropriate. Si tratta di delinquenza e di delinquenti ben noti alle forze dell'ordine e ai magistrati inquirenti. Ma come chiosa l'autorevole opinionista della "Gazza", il coraggio - da parte dei dirigenti, giocatori e ambiente tutto - di tagliare i mille legami mafiosi con le loro curve "è per ora come quello di don Abbondio: invisibile". Si preferisce continuare a baciare le mani.

L'inaccettabile diktat di Sky



Futbolandia, 6 marzo 2015

Sicché oggi, nella riunione di Lega, i dirigenti dei club della Serie A hanno accettato di auto-tassarsi per consentire al Parma Football Club di giocare le prossime partite di campionato. Difficile dire quante, e in ogni caso i quattrini saranno sganciati solo dopo che il curatore fallimentare avrà fatto qualche conto.

Sono gli ultimi fuochi di una vicenda - da qualunque parte la si guardi - scandalosa. Difatti e naturalmente, non è che i Galliani e gli Agnelli siano mossi da spirito samaritano o solidaristico. Si muovono perché ricattati da Sky. E' il colosso televisivo a volere il Parma in campo: come da contratto, le partite devono essere dieci per turno, non nove.

"Egregi signori, come avete visto abbiamo proceduto al pagamento, A voi e a tutti i club Vostri associati, anche della quinta rata del corrispettivo previsto per la stagione in corso". Così inizia la missiva indirizzata da Raynaud, "Executive Vice President Sport Channels & Sales Advertising" di Sky, alla "Lega Nazionale Professionisti Serie A" [vedi]. Viene poi espresso lo stupore per la mancanza di interventi da parte della medesima Lega, finalizzati a prevenire il precipitare della situazione. Ma soffermiamoci sulla parte centrale, perché qui sta il bello: "Vi chiediamo quindi, nella nostra qualità di principale partner del sistema calcio, di volerci quantomeno spiegare cosa intendete adesso fare per fronteggiare con efficacia la situazione e per garantire che il campionato veda almeno lo svolgersi di tutte le partite previste dal calendario. Confidiamo pertanto che l’ulteriore supporto economico da noi appena versato venga da Voi utilizzato a tal fine. E che, anche con l'apporto di Governo e istituzioni, si stabiliscano regole che diano maggiori garanzie per il futuro".

Dunque, Sky vorrebbe che i club usino i 'suoi' quattrini  per foraggiare il Parma sino a fine stagione e salvaguardare il prodotto - e il contratto. Grottesco.

Naturalmente, l'esito logico della vicenda è uno e uno solo. Al Parma dovrebbe toccare (purtroppo) la sorte già occorsa in passato ad altri club altrettanto blasonati e con ancor maggiore seguito di pubblico.

Ma riteniamo intollerabile, anche per un calcio alla canna del gas come il nostro, sottostare a un diktat di questo genere. Significa implicitamente accettare la logica di Lotito (per carità: il Carpi in serie A?); e a quel punto anche gli esiti agonistici potranno tranquillamente dipendere dalle esigenze dello show televisivo (reale padrone, più che "principale partner del sistema calcio"), che pretende spettacolo ma evidentemente è allergico alle regole e al rischio d'impresa.

Va, pensiero, sull'ali dorate


22 febbraio 2015
Parma - Udinese, rinviata sine die [vedi].

Le città non sono degli agglomerati umani e urbanistici ma soprattutto dei sistemi complessi dal delicato metabolismo. La crisi etica delle classi dirigenti e quella economica stanno travolgendo una dopo l'altra le grandi e medie città che hanno fatto la storia del nostro paese. Basterebbe pensare a casi eclatanti, per stare alle cronache recenti, come quelli di Roma, Napoli, Venezia.

I club calcistici sono spesso un tassello importante dell'identità locale. Anch'essi finiscono con l'essere inevitabilmente travolti dal collasso sistemico della città di cui sono patrimonio ideale e di passioni. La crisi di Siena, per esempio, ha inghiottito anche l'A.C. Siena. Adesso assistiamo alla bancarotta - annunciata da anni (come quella di tanti altri club di serie A e B che sono ormai solo dei simulacri) - del Parma F.C., che non ha più in cassa nemmeno gli spiccioli per accendere i riflettori allo stadio. Il fallimento è parte integrante del tracollo della città emiliana, come spiega bene Dario Di Vico in articolo sul "Corriere della sera" [vedi].

Sullo sfondo, non dobbiamo dimenticarlo, si stagliano due scenari epocali: la fine del welfare in Occidente (in breve: le casse vuote degli enti locali nonostante tutti i balzelli che servono la voracità delle caste politiche) e la fine della generazione padronale dei proprietari dei club calcistici italiani (la Roma e l'Inter sono solo i battistrada di quel che sta per accadere a Milan, Napoli, Palermo, Fiorentina, etc.).

Il futuro non appare roseo. Tutt'altro:
Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!

L'insostenibile violenza del politicamente corretto


17 febbraio 2015

Arrigo Sacchi è vittima di una vergognosa gogna mediatica e politica, a ventilatore acceso [vedi]. La deriva del perbenismo politicamente corretto, del moralismo un tanto al chilo, del populismo presupponente dei sedicenti ottimati, è ormai una insopportabile tirannide. Quella del pensiero unico ormai incapace di comprendere la realtà complessa di questi anni, quello che è alla base dei tragici errori delle caste intellettuali e politiche occidentali dell'ultimo quarto di secolo.

Eupallog è da sempre, prima ancora della sua nascita, contro ogni forma di discriminazione, di razzismo e di violenza. Per questo esprime la sua piena e vigorosa solidarietà ad Arrigo. Di cui non ha travisato le parole ma semmai colto il senso profondo, che condivide appieno.

Crediamo infatti che vadano distinti almeno tre livelli di discorso: quel che voleva dire Sacchi, come lo ha detto e come è stato recepito. Nel merito il suo richiamo è fondato sulla sua esperienza quadriennale come coordinatore delle nazionali giovanili: Sacchi è uno dei pochi che conosce davvero la situazione, che è gravissima sul versante della "tratta dei giovani" provenienti dai paesi extra UE, affidata a veri e propri "scafisti" sedicenti procuratori; una tratta che rappresenta un affare e una scorciatoia per molti club italiani, che spesso comprano a scatola chiusa senza nemmeno avere visto giocare i ragazzi; altro che "vivai".

Nella forma non ci pare che Arrigo si sia espresso in modo offensivo, tanto meno razzista: nelle stesse ore è stata semmai indecente la dichiarazione del presidente del Palermo, non censurata da nessuno [vedi].

E qui sta il punto della nostra posizione: attaccare Zamparini non rende la visibilità mediatica che vale un attacco a Sacchi. Le vestali del politicamente corretto, ormai sinistramente simili ai "guardiani della rivoluzione", vivono di rendite di posizione: soprattutto, costituiscono ormai, a nostro avviso, una deriva autoritaria delle società politiche occidentali: cercano di imporre un pensiero unico, con attacchi e intimidazioni. Ce ne viene conferma dall'offensiva che il loro squadrismo mediatico ha riservato in queste ultime ore a Carlo Ancelotti, per il quale si è speso il consunto, ma sempre vivo in certi ambienti, epiteto di "fascista" [vedi]. Verrebbe da ridere. Invece siamo molto preoccupati per la libertà di pensiero. Quella di tutti.

Le retrovie ucraine


17 febbraio 2015

Stiamo ormai scivolando - increduli, garruli e impreparati - verso uno stato di  guerra totale, che papa Francesco ha disvelato da tempo con le parole semplici del suo pontificato.

Stasera ricomincia la Champions League in un teatro di guerra: le retrovie ucraine. Lo Shakhtar Donetsk ha abbandonato, a tempo indeterminato e chissà fino a quando, la sua Donbass Arena bombardata, e si è ritirato mille chilometri più a Occidente, alla Arena Lviv, la Leopoli della Galizia asburgica, a pochi passi dal confine polacco. E' l'Europa storica che ribadisce i suoi incerti confini, anche calcistici, in cerca di identità. Non è forse un caso della storia che vi giochino stasera i tedeschi (multinazionali) del Bayern.

Oleksandr Anatolijovyč Zavarov è nato invece nell'Ucraina russa, a due passi dal confine, ammesso che sia ancora tale, con il grande vicino. Sacha è cresciuto nell'Unione Sovietica, e di quella era è stato forse l'ultimo campione, dapprima con la Dinamo Kiev di Valeri Lobanovski e poi, in seguito all'apertura delle frontiere, con la Juventus di quella FIAT che aveva esteso la produzione industriale ad alcune fabbriche d'oltre cortina. Fu una delusione, come sappiamo.

Zavarov, ci dicono le agenzie giornalistiche [vedi], è stato chiamato alle armi dal governo ucraino insieme ad altri 100.000 connazionali di età compresa tra i 25 e i 60 anni: per la guerra contro la Russia, senza tanti giri di parole. 53 anni, sposato e padre di due figli, Zavarov lavora attualmente nello staff della Nazionale ucraina e ha dichiarato pubblicamente che "non combatterò mai il Paese dove vivono la mia famiglia e i miei figli e dove sono seppelliti i miei avi. Voglio solo la pace". Il dramma di Zavarov è il dramma non solo dell'Ucraina ma dell'Europa.

Tutti vorrebbero la pace. A parole. Ma stanno già combattendo una guerra, con morti e distruzioni. Nei fatti. Come ha ricordato la Federazione calcistica ucraina, 89 membri della quale sono stati richiamati alle armi: "C’è una guerra in corso. Ogni cittadino deve comprendere ciò che sta succedendo". Anche quando, da stasera, tornerà a risuonare l'inno della Champions negli stadi d'Europa.

Se telefonando ...



Futbolandia, 14 febbraio 2015 

Nel giorno in cui l'ennesima indegna gazzarra va in scena a Montecitorio, sale - toh, che novità! - agli onori delle cronache pedatorie Claudius Lotitus. Suo malgrado, però. Pino Iodice, direttore sportivo e segretario generale della Società Sportiva Ischia Isolaverde, militante nel girone C della Lega Pro, gli telefona e si attrezza per registrare la chiacchierata. Lotitus dice molte cose (anzi, praticamente parla solo lui), esprime tutta la sua preoccupazione (il sistema calcio è in asfissia) ma parla col tono del vero e proprio padrone del vapore. Anzi, del padre e salvatore della patria. Una cosa, in particolare, gli sta a cuore. Nulla che riguardi la Lazio o la Salernitana. No, perché parla nelle vesti di consigliere federale. E' l'uomo delle istituzioni. E dunque gli sta a cuore far sapere che club di piccole città, club di modesto calibro (con piccoli stadi e poco pubblico), sarebbe meglio non vedano la Serie A nemmeno col binocolo. Non per altro: perché poi come si vende il prodotto? Quale network sarà disposto a foraggiare una Lega che vende campionati-patacca, con squadre che nessuno conosce - il Carpi, il Frosinone, il Latina? Il 'sistema-calcio' è in asfissia, sarebbe il colpo finale. 

"Ho detto ad Abodi: Andrea, dobbiamo cambiare. Se me porti su il Carpi... una può salì ... se mi porti squadre che non valgono un c... noi fra due o tre anni non ci abbiamo più una lira. Perché io quando a vado a vendere i diritti televisivi - che abbiamo portato a 1,2 miliardi grazie alla mia bravura, sono riuscito a mettere d'accordo Sky e Mediaset, in dieci anni mai nessuno - fra tre anni se ci abbiamo Latina, Frosinone.. chi c... li compra i diritti? Non sanno manco che esiste, Frosinone. Il Carpi... E questi non se lo pongono il problema!".

Andrea Abodi è il presidente della Lega di Serie B. Confidiamo trovi il modo di evitare questa sciagura. Che scongiuri la catastrofe. Anche se governare e orientare un campionato non è così facile. E non per via degli arbitri. Per via degli scommettitori. Degli aggiustatori di partite. Per via dei centinaia di tesserati sui quali pende un possibile rinvio a giudizio. Accusati di frode e/o associazione a delinquere; tra di essi c'è anche il commissario tecnico della nazionale, che dovrà rispondere di reati commessi quando allenava - appunto - in Serie B.

Lotito parla nel nome del calcio italiano, malato per il quale ha in tasca (e in testa) terapie sicure, a lungo studiate insieme all'amico Tavecchio. Nell'estorta telefonata si ascoltano molte cose interessanti - sui presidenti delle varie Leghe, sul presidente della CAN -, ma soprattutto si 'respira' il tanfo di malaffare, di illegalità, di opacità, di abuso che ha ormai completamente devastato il nostro calcio. L'ambiente è questo. Questi sono gli uomini che l'ambiente ha scelto per capi e rappresentanti. 

Naturalmente, molti esegeti - giornalisti di varia 'cultura' e 'militanza' - gettano acqua sul fuoco. Il metodo adoperato per conoscere il 'pensiero' di Lotito è non solo sgradevole, ma naturalmente perseguibile. Iodice si beccherà una bella querela - ma dice di avere altro materiale scottante sul de cuius. Quelli coinvolti, minimizzano. Conta la forma, non la sostanza.

Dice infatti Macalli, presidente della Lega Pro: "In tanti anni di calcio una cosa così schifosa non l'avevo mai vista. Registrare la telefonata! Sono allibito".

In fondo, dice Beretta, nelle parole di Lotito c'è solo un ritratto "spiccio" della realtà.

Già. Innocenti incidenti lessicali.

Ti racconto ... la FIGC


La Federazione delle banane, 6 febbraio 2015

Spesa pubblica, cioè del contribuente. Per acquistare 20 mila copie del libro Ti racconto ... il calcio - il "racconto di nonno Carlo alla nipotina Giorgia” sulla “storia del calcio e della lega dilettanti. Un libro per avvicinare i bambini e le bambine allo sport e al calcio vero, ben oltre i videogiochi e la televisione” - alla modica cifra di 5,38 euro più Iva in luogo dei 20 del prezzo di copertina. Supersconto, spuntato dall'autore. Che è anche l'acquirente.

Carlo Tavecchio, da provato cabarettista, tra banane e squalifiche, dimostra di saper recitare anche più ruoli in commedia. Il precedente presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, Giancarlo Abete, aveva respinto la richiesta di acquisto sin dal 2011, a quanto pare. Prima del Natale 2014 l'autore Carlo Tavecchio ha trovato un presidente della FIGB a propria immagine e somiglianza. E l'operazione è andata in porto. "Per farne dono ai giovani atleti tesserati quale strenna natalizia".

Con doverosa precisazione - da comunicato FIGB - che "Il Comitato di presidenza non ha ravvisato alcun conflitto di interessi, né anomalia sia perché lo stesso Tavecchio non riceve alcun compenso sulle vendite sia perché il messaggio didattico ed educativo del libro è rafforzato dal ruolo ricoperto in Figc". Costo del cesto di banane? 107.000 euro, nello stesso anno di bilancio nel quale il CONI ha imposto alla FIGB circa 20 milioni di tagli alle spese.

Chiosa dell'intellettuale di regime, Claudius Lotitus: “I libri sono stati distribuiti in funzione del numero di tesserati. Il presidente non percepisce un euro, non ha interessi di alcun tipo. In ogni caso la Figc ha il compito di promuovere il calcio nei settori giovanili e in quelli scolastici oltre che nei comitati regionali. Quindi il libro ha un intento ludico-didascalico. Dove sta lo scandalo?”.

Non siamo scandalizzati, infatti, di fronte all'ennesima conferma del degrado del Palazzo. Siamo semplicemente indignati. Anche perché la realtà è peggiore di come la descrivono le agenzie di stampa. Basta cliccare qui per comprendere il senso dell'operazione: "lo acquisti a 5,50 e lo puoi rivendere fino a 20". Vero premio bancarella.

Peraltro, negli stessi giorni in cui il Parma Football Club è oggetto di un'evidente, non vigilata, operazione di riciclaggio, l'affare Tavecchio con la Moruzzi's Group - che non è un editore ma un "Gruppo di consulenza in marketing e comunicazione integrata, che abbraccia tutti i saperi e i modi della comunicazione, come pensiero innovativo a servizio delle imprese e delle istituzioni, come uno strumento di precisione che può trasformare la crisi in opportunità per evolvere. Perché le buone idee premiano il business" [sic] - appare di piccolo calibro. Roba da dilettanti, per l'appunto.

Fonti: 01-02-03-04

Un arbitro come Presidente


31 gennaio 2015

Tifoso del Palermo e simpatizzante dell’Inter, quando era bambino si dice che durante le partitelle con gli amici Sergio Mattarella facesse l’arbitro ... [fonte].

La conferma di Matteo Renzi; "Non abbiamo eletto un nostro supporter, un nostro tifoso. Ma un arbitro" [fonte].

I bocconiani della Curva Sud


27 gennaio 2015, Milano

Tra le passioni degli ultras vi è anche quella di emettere comunicati ufficiali. Usano il web e i social per diffondere il loro pensiero. La scrittura esposta degli striscioni ha qualcosa di archeologico, poiché lo spazio destinatario e fruitore del messaggio è sempre più deserto. Però ci sono le riprese tivù, e dunque la pratica sopravvive. Il problema, in questi casi, è solo di sintesi. Quando il pensiero è complesso, meglio un comunicato ufficiale.

L'ultima presa  di posizione della "Curva Sud" milanista, dopo i rovesci della squadra in campionato, è nettissima e affidata a un lungo comunicato ufficiale. Nel quale, tuttavia, ciò che colpisce è l'interesse per questioni di bilancio, come (per esempio) la spesa per gli ingaggi ("abbiamo una rosa di giocatori che rappresenta la terza squadra più pagata del campionato"), spropositata rispetto alla qualità dei pedatori sotto contratto. Di chi la colpa? Dell'Amministratore Delegato, alias Adriano Galliani. "Di certo però l’artefice della costruzione di questa squadra è l’AD e responsabile del settore tecnico, colui il quale, seppur costretto ad operare in ristrettezza economica, agisce nella più totale assenza di un progetto, strapagando ingaggi a giocatori di dubbio valore o addirittura buttando via i pochi soldi a disposizione per il mercato in operazioni pessime quali l’acquisto di Matri (pagato quanto Tevez dalla Juve), solo per citare un esempio, a cui potremmo sommare le operazioni Torres o altre con cui non ha fatto altro che spacciare giocatori finiti come fenomeni ... L’AD in passato parlava di progetto giovani per risollevare la squadra, ed il progetto giovani è stato portato avanti cedendo subito Cristante e Petagna, per poi inserire in rosa dei giovani stranieri pagati molto di più, che oltretutto poco valorizzano il bagaglio del settore giovanile rossonero".

Insomma, vogliono la testa di Galliani. "Al presidente a questo punto chiediamo, oltre che di investire nuovamente nel Milan, di fare quello che si fa in tutte le aziende e che lui sicuramente sa meglio di noi, ossia allontanare il responsabile vero di questa situazione che è il responsabile tecnico".

Ma attenzione alla chiusa e al linguaggio adoperato. "Sarebbe ora di seguire la linea di innovazione presa da parte del lato marketing della società da cui arrivano le uniche note positive, come il nuovo contratto con l’importante rientro di fondi da parte del main sponsor, che porterà ad avere uno stadio di proprietà".

Linea di innovazione? Il main sponsor? Il lato marketing?

Ormai certe 'curve' non sono più quelle di una volta, e il loro linguaggio riflette la metamorfosi. Ma la domanda è: i capi ultras hanno studiato alla Bocconi o c'è qualche ventriloquo in circolazione? O semplicemente un interessato suggeritore? Uno o 'una'?

Certamente, BB sta cercando (e trovando) alleati nella sua guerra contro l'AD (legato a Marina e Piersilvio). E' una guerra di successione, in fondo. Barbara erediterà il Milan, e ha il disperato bisogno di non trovarsi tra le mani un giocattolo inutile e rotto. E invendibile.

Fonte | Lady BB su Matri | Lady BB, l'innovazione e il calcio business | Lady BB, il main sponsor e il nuovo stadio
I concetti ribaditi al Meazza (27 gennaio, scritture esposte) | 

Ciao Charlie


13 gennaio 2015

Oggi “Charlie Hebdo” è tornato in edicola, come sempre.

Lo salutiamo con un suo tweet del 23 settembre 2014 [tweet], che ha il grande merito - libertario - di obbligarci a riflettere.

Che il Qatar sia accusato di essere “Le Club Med des terroristes” non lo scriveva Charlie, ma il gruppo editoriale “Le Monde” il 30 settembre 2014 [vedi qui].

Il malessere francese


Bastia, 10 gennaio 2015

L’ingombrante presenza nel calcio francese della proprietà del Paris Saint-Germain Football Club da parte della famiglia reale del Qatar sta cominciando a diventare un presenza avvertita come sempre più ingombrante nella società francese nel suo complesso.

Prima della partita tra SC Bastia e PSG valevole per il 20° turno della Ligue 1, è stato srotolato sugli spalti dell‘“Armand Cesari” di Furiani uno striscione dal contenuto politico durissimo: “Le Qatar finance le PSG et le terrorisme” [vedi]. Da un lato la riproposizione come certezza da stadio delle accuse che anche i governi occidentali hanno mosso al clan degli Al Thani di aver finanziato i terroristi islamici dell’ISIS [vedi]. Dall’altro l’equiparazione del PSG al terrorismo.

Nell’episodio non si possono dimenticare i rancori politici che alimentano storicamente l’indipendentismo della Corsica nei confronti della Francia. Ma il composto omaggio alle vittime delle stragi parigine dei giorni scorsi che tutto il pubblico, compresi i tifosi che avevano srotolato lo striscione, ha tributato in silenzio poco prima dell’inizio della partita lascia intendere come il messaggio fosse chiaramente indirizzato non ai francesi e ai parigini ma ai proprietari qatarioti del PSG.

Quel che colpisce è che la notizia è stata riportata da media di diverso orientamento politico - dal conservatore “Le Figaro” [vedi] al gauchiste “So foot” [vedi] - senza alcuna stigmatizzazione. Segno, certamente, del profondo turbamento che percorre le diverse anime della Francia in queste ore drammatiche, come testimoniano anche i commenti alla notizia sui siti. Ma probabilmente anche segnale di un crescente disagio verso l’opacità di uno sport in cui stanno prendendo sempre più spazio interessi economici e politici sempre più lontani dalle identità originarie, sociali, civili e sportive. Un disagio pronto a erompere in malessere diffuso.

Per i musulmani non sono Charlie


Parigi, 10 gennaio 2015

Uno dei topoi della cultura marxista del Novecento era la certezza che le contraddizioni del capitalismo sarebbero alla fine esplose: “fare splodere le contraddizioni” era uno degli slogan più ricorrenti del linguaggio pubblico.

L’ambiguo rapporto dei proprietari quatarioti del Paris Saint-Germain Football Club con gli attentati terroristici che hanno sconvolto la Francia nei giorni scorsi sta facendo perlomeno “emergere” - per non usare parole stonate - le contraddizioni insite nell’islamizzazione del football mediatico internazionale [vedi].

Dopo la circolazione universale della foto con le maglie da gioco decorate con il nome “Charlie” anziché con quello dei calciatori - che potrebbe essere un falso, tanto più significativo [vedi] -, non è falsa la scelta del sito ufficiale della società di pubblicare lo slogan “Je suis Charlie” solo nelle versioni per Europa, Usa e Cina. In quelle destinate ai paesi musulmani, Indonesia e paesi arabi, invece non ve ne è traccia [vedi]. I tentativi di smentita appaiono ancora più goffi [vedi].

Il politicamente corretto alla musulmana? O le ragioni del capitale?

Ambiguità


Parigi, 9 gennaio 2015

In queste ore drammatiche per la Francia e l’intero Occidente, questa foto sta facendo il giro del mondo nella dolciastra ipocrisia dell’auto-compiacimento politicamente corretto (e molto virale), insieme alle matite alzate e spezzate, ai Bianconi con il lutto, alle candele e alle fiaccolate (con molti selfie e tanti post su fb).

Quasi nessuno rileva l’ambiguità profonda di una foto come questa: proprietaria del Paris Saint-Germain Football Club è la famiglia reale del Qatar. La stessa che ha comprato i Mondiali 2022. La stessa che è sospettata dai principali governi dell’Occidente di aver sostenuto finanziariamente i terroristi dell’ISIS [vedi: 01-02-03-04].

Mentre l’Europa angosciata rivendica con orgoglio sgomento la sua “laicità”, il suo calcio d’élite, quello dei “super club”, del mondiale 2022, dei trofei invernali nel Golfo persico, si sta islamizzando, al punto da togliere la croce di Cristo dal logo della sua squadra di vertice pur di arraffare gli ultimi trenta denari [vedi].

Follie di capodanno


1° gennaio 2015

Questa immagine conferma, purtroppo, l’inadeguatezza e la miopia della dirigenza calcistica italiana di questi anni bui.

Siamo allo Stadio Comunale di Firenze, nel pomeriggio del 1° gennaio 2015. La temperatura è sotto zero, ma 7.000 persone riempiono comunque la Maratona per assistere, gratuitamente, all’allenamento della Fiorentina [notizia]. Se si fosse trattato di una partita di campionato l’incasso sarebbe stato pingue. A conferma che durante le vacanze le famiglie sono in cerca di intrattenimento e di svago. Cinema e teatri sono affollati. Gli stadi sono chiusi per le ferie di pochi milionari.

Ci vuole una mente raffinata per concepire e attuare una simile follia. Congratulazioni a Beretta, Galliani, Lotito e ai loro compari per questo mirabile progetto economico. Loro lo chiamano ovviamente “business plan”. A noi fa sbellicare.