4 agosto 2013
Si chiama Gaetano Iannini, ha già trent’anni, gioca semi-professionalmente da tredici, e ha cambiato squadra ogni anno. E forse si comincia a capire perché. E’ assurto in cronaca il 4 agosto 2013 perché durante una partita di Coppa Italia tra Sudtirol e Matera è stato espulso dall’arbitro al 18° del primo tempo per aver rivolto i soliti insulti razzisti a un giocatore avversario, Caleb Ekuban. Come vien da dire - in omaggio alle circonlocuzioni giuridiche -, “ai sensi” del nuovo articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva, in vigore dallo scorso 4 giugno, si è beccato 10 turni di squalifica dal giudice sportivo Gianpaolo Tosel per aver rivolto un “epiteto insultante espressivo di discriminazione razziale a un avversario ghanese” [vedi].
E fin qui siamo alle solite. Più che il razzismo è in gioco l’assenza di educazione in cui è ormai precipitata una larga parte della popolazione (non solo italiana, si intende). L’arbitro è stato impeccabile, il giudice rapido e solerte. Tutto molto bene: nell’auspicio che la reazione sia altrettanto netta e rapida in futuro, e soprattutto costante nel tempo. Di personaggi come Gaetano Iannini, infatti, il calcio (non solo quello italiano) non ha alcun bisogno. Anzi.
Lo dice il suo pedigree. Lo scorso anno, quando vestiva la casacca del Casale, Iannini ha subìto un Daspo (acronimo per Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) di quattro anni perché durante una partita contro la Virtus Entella, minacciò il direttore di gara e aggredì due agenti di polizia entrati in campo per difendere gli arbitri. In breve, è un ultrà che non può frequentare gli stadi ma - per paradosso giuridico - vi può giocare. Resta una testa calda, come ce ne sono migliaia non solo nel mondo del pallone, ma anche nel traffico, nelle notti alcoliche, etc.
La contiguità ultras-giocatori la testimoniano non solo foto che parlano da sole come questa, ma anche le dichiarazioni di falso perbenismo e di sostanziale complicità in cui si prodigano i dirigenti delle società. Così, per esempio, il presidente del Matera, Saverio Columella: “Se il nostro giocatore ha sbagliato, è giusto che paghi. Ma, al di là di questo, mi sembra che la sanzione abbia anche connotazioni mediatiche. Noi condanniamo completamente il comportamento del nostro atleta: l’insulto razzista è imperdonabile, abbiamo già provveduto a multare il giocatore per l’espulsione rimediata nella partita. Ogni caso, però, va valutato in maniera specifica, il regolamento prevede che la squalifica di 10 giornate sia la sanzione massima. Se c’è un limite massimo di 10, non credo si debba partire per forza con il top. E’ la prima sanzione di questo tipo e, pertanto, deve essere esemplare. Mi sembra di rivedere le situazioni che si sono verificate quando entrò in vigore l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza in auto …”.
Fin che non si spezzeranno queste contiguità culturali tutto sarà inutile.