Il rinnovamento nella continuità


Roma, 29 luglio 2014

Claudius Lotitus ha fatto il liceo classico e lo sfoggia a ogni pie’ sospinto [vedi l‘“a tu per tu” con Salvatore Merlo]. Rispetto al suo giovin pupillo Carlo sTravecchio è un Himalaia di capacità retorica: tanto il futuro presidente della FIGB non riesce a mettere tre parole in fila con appropriatezza lessicale e sintattica [ammira], tanto il presidente della S.S. Lazio è facondo di retorica, di cui conosce alcuni “trucchi” che gli antichi latini hanno insegnato alla posterità. Tra questi la dotazione di un set di frasi pronte (altri direbbero fatte) per ogni circostanza.

Roma, 14 gennaio 2013, rielezione “bulgara” di Giancarlo Abete alla presidenza della FIGC. Commento di Claudius Lotitus: “Abete è la continuità nell’ottica del rinnovamento” [vedi].

Milano, 18 gennaio 2013, rielezione dello pseudo-dimissionario (dal marzo 2011), Maurizio Beretta alla presidenza della Lega calcio di Serie A. Commento di Claudius Lotitus: “rappresenta l’innovazione nella continuazione” [vedi].

Roma, 29 luglio 2014, a sostegno della candidatura di Carlo sTravecchio alla presidenza della FIGC: “perché rappresenta il rinnovamento nella continuità” [vedi].

Non è un disco incantato, ma una strategia retorica. L’interpretazione è semplicissima: l’innovazione sono le facce degli eletti, la continuità il potere degli elettori.

Come ha giustamente osservato Aligi Pontani “Tavecchio è quello che è, non nasconde nulla di sé. Un signore un po’ avanti con gli anni e molto indietro con la capacità di esprimere qualcosa di decente, un tizio abituato a gestire un potere fatto di intrighetti, promesse, pacche sulle spalle, affarucci e affaroni, sguazzando felice in un grande mare di mediocrità. Eppure la colpa non è sua, così maldestro da essere se stesso anche nel momento sbagliato, quando avrebbe dovuto provare a vestire i panni di qualcun altro, il dirigente maturo e saggio e prudente e silenzioso. Invece Tavecchio è questo, quindi ha parlato, ha detto quel che ha detto, si è rovinato. La colpa, dunque, è solo di chi in queste lunghe settimane di pietose trattative, aveva scelto proprio uno così, un Tavecchio, come uomo del destino e del futuro. E’ nella decisione ponderata e risoluta di sostenere uno così che si racchiude tutto il senso del declino del calcio italiano. E’ lì che va cercata la colpa. Nei piccoli e miserabili interessi di bottega che hanno spinto i presidenti delle squadre di calcio, prima quelli della serie B, poi quelli della serie A, ad accordarsi per sostenere il niente rappresentato da Tavecchio. È negli accordi sulle tante fette da spartirsi, sugli equilibri di potere, sulle quote di territorio destinate agli uni o agli altri: tu mi dai i tuoi voti della serie B per essere eletto e io, Tavecchio Carlo, ti garantisco che la mutualità, i contributi per la tua Lega, non saranno toccati. Tu mi dai i tuoi pochi ma pesanti voti della serie A e io, Tavecchio Carlo, ti garantisco che la Figc farà gli interessi dei grandi e dei piccoli club, offrendo soldi a chi retrocede e poltrone a chi galleggia in mezzo, regole meno fastidiose per chi vuole fare affari con il mercato e sanzioni meno pesanti per chi ha tifosi che fanno cori razzisti, o magari, ironia del destino, tirano banane in campo” [vedi].