La cella


13 febbraio 2014

Gli ultras italiani sono dunque oltre 41.000, secondo l’ultimo censimento reso noto oggi dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione al convegno “Gioco di squadra. Un cantiere aperto per un calcio migliore”, organizzato dalla Scuola superiore di polizia. I gruppi sono 388: un quinto del totale (circa 8.500 ultras) fa parte di una sessantina di nuclei “politicizzati” (45 di estrema destra, 15 di estrema sinistra ed altri “misti”). 80 sono quelli che intrattengono rapporti con tifoserie straniere, 24 dei quali con connotazioni estremiste.

Dopo i fatti di Catania del febbraio 2007 in cui aveva perso la vita l’ispettore capo Filippo Raciti, la collaborazione tra istituzioni e mondo del calcio aveva prodotto buoni risultati, portando a una diminuzione della violenza negli stadi. La prima parte di questa stagione però ha fatto registrare una inversione di tendenza: gli incontri di calcio con feriti sono stati 49, contro i 39 dello stesso periodo della stagione scorsa; sono aumentati i feriti tra le forze dell’ordine (64 contro 43), tra i civili (56 contro 37) e tra gli steward (15 contro 7); gli arrestati sono stati 84 (uno in più rispetto alla stagione 2012-2013) e i denunciati 593 (contro 321 dell’anno prima). Probabilmente come effetto, vale a dire reazione, delle chiusure delle curve.

Quando sorsero i primi gruppi ultras negli anni settanta, la forte politicizzazione del periodo guardò con indulgenza, e in certi casi con simpatia, al nuovo fenomeno di aggregazione sociale. Ne seguì un fiume di inchieste e studi sociologici (e di romanzi e film), non solo in Italia. Sono passati quarant’anni e il fenomeno ha perso ogni aura. Anzi, viene crescentemente criminalizzato. L’elemento positivo è rappresentato dallo studio cui è sottoposto dalle forze dell’ordine: segno di un buon funzionamento delle nostre istituzioni, che saranno anche in crisi ma in molti contesti continuano a svolgere la loro professione con dedizione. Soprattutto, è apprezzabile la consapevolezza espressa da questori e prefetti sull’importanza di accompagnare con azioni preventive ed educative gli interventi necessariamente repressivi.

Nondimeno, il presidente del CONI, Giovanni Malagò, ha proposto l’introduzione anche in Italia di celle all’interno degli stadi e di processi per direttissima sul modello thatcheriano, e come è tuttora in Premier e nei campionati inglesi. Va bene anche questo, ovviamente. Ma il paradosso è che l’unico stadio italiano che ne è già dotato (vedi la foto) è il demolendo, nuovissimo, Is Arenas, costruito dal presidente del Cagliari Cellino in collusione con le autorità locali …

Fonti: 01-02-03